Shagrath (DIMMU BORGIR, CHROME DIVISION), King (GOD SEED, GORGOROTH, JOTUNSPOR, I, SAHG, AUDREY HORNE),
Ice Dale (ENSLAVED, I, AUDREY HORNE, TRINACRIA, DEMONAZ), Frost (SATYRICON, 1349), Teloch (NIDINGR, GOD SEED, 1349, UMORAL).
Voi cosa vi aspettereste da un tale palmares di diabolici elementi? Di toccare il cielo (pardon, l’inferno) con un dito. Aspettative. Io, amante da sempre del black, sono particolarmente legato ai Borgir e ai Gorgoroth, per mille motivi. Quando mi è giunta la mail di presentazione di questo progetto devo essere sincero ho avuto un sussulto: non poteva essere vero. In un ambiente come quello del black, dove i cantanti e i musicisti in genere cercano sempre la divisione, la guerra tra loro, dove le band si sciolgono e nascono come funghi in autunno dopo le prime piogge, cinque capisaldi del genere che si uniscono per suonare un intero album mi pareva troppo bello per poter essere vero.
Il tutto prese corpo, il tutto si sviluppò e un giorno nel mio i-pod giunse questo “The Underworld Regime”.
Mi sono tuffato nell’ascolto. Tutto d’un fiato. Poi un senso di vuoto. Troppo d’un fiato, mi sono detto. Riproviamo. Quel senso un po’ è svanito, ma non del tutto. E allora ecco che dopo l’eccitazione quasi infantile iniziale, torna a galla quella esperienza che insegna come purtroppo molto, troppo spesso le superband non riescano non solo a tirare fuori risultati che valgano il valore di tutti i componenti insieme, ma non riescano a raggiungere nemmeno quello medio dei singoli componenti.
Questo primo lavoro del progetto Ov Hell non è proprio così, ma si avvicina a questa visione.
Alcuni commentatori di wrestling direbbero che i nostri hanno svolto il compitino e sono andati a casa accontentandosi del 6.
“The Underworld Regime” non è un brutto lavoro, anzi, ma è un classicissimo, semplicissimo, seminale album black, che forse esce dalla media delle miriadi di album “neri” solo perchè gode (e questo gli va riconosciuto) di una produzione straordinaria, che grazie a giochi tra gli strumenti ed effetti sonori che variano dal temporale alluvionale al bambino che piange disperato, ai lupi che ululano tra le foreste di abeti spogli delle lande desolate della Norvegia, fino ai rantoli del signore delle tenebre, che rende un po’ più particolari i singoli brani.
I due big della situazione, che troneggiano con i volti incazzati e dipinti sulla copertina, ovvero Shagrath e King, si spartiscono i brani, che per quasi metà paiono normalissimi brani dei Gorgoroth cantati dal leader dei Dimmu Borgir, e per metà brani stile Silenoz e Co.
Per il resto poco da segnalare se non la buona (ancora una volta) prestazione di un Frost a mio modo di vedere ancora troppo sottovalutato.
Le song si lasciano ascoltare come 8 invocazioni al maligno, come una calata oscura sulla nostra terra, e dopo un inizio prettamente Gorgorothiano, si eleva il livello con la malatissima e straniante Ghosting, che ha un incedere malato, oscuro, umido, con cantato cadenzato e mid-tempo di batteria.
Inizio disgustoso e indecifrabile quello della buona e velocissima “Invoker” dove i nostri fanno veramente squadra compatta e tirano fuori dal cilindro una song convincente e decisa, con il coro “invoker” a supportare la rarefatta voce di Shagrath su un incrocio di guitars asciutte e graffianti.
Si torna a ritmi vertiginosi in “Acts of Sin”, altro brano che non avrebbe assolutamente destato curiosità se fosse uscito su “in Sorte Diaboli”, per concludere i quasi 40 minuti di voracità sanguinolente con due song come sempre compatte ma nella norma.
In definitiva, un album consigliato ai fedelissimi di uno qualunque dei membri di questa superband e agli amanti del Black classico dai toni sinfonici. Per tutti gli altri, un disco interlocutorio, senza infamia e senza lode. Personalmente, un po’ di delusione per uno studente che ha le possibilità per arrivare al 9 e si accontenta di arrivare al 6 solo perchè la mamma gli ha detto che non vuole vedere insufficienze se no niente playstation… non so se rendo l’idea.