Quello di cui mi appresto a scrivere è il terzo lavoro sulla lunga distanza dei novaresi Bejelit i quali, a distanza di quattro anni da “Age Of Wars”, tornano sul mercato con “You Die And I…”. La prima cosa che salta all’occhio è che i cinque piemontesi hanno firmato un nuovo contratto discografico, stavolta con la Punishment 18 Records di Biella, label che in questi ultimi anni si sta distinguendo per aver messo sotto contratto tantissime valide band del panorama tricolore (Urto, Lunarsea, ecc.). Forti di una situazione contrattuale del genere, i Bejelit hanno avuto la possibilità di dare alle stampe un disco che confermasse il già buon livello qualitativo espresso con i due lavori precedenti. Compositivamente parlando, in effetti, “You Die And I…” è il miglior lavoro che i Nostri abbiano licenziato finora e sono sicuro che anche loro ne sono consapevoli. Il punto dolente, però, viene parlando della produzione, niente di eclatante, sia chiaro, ma qualche cosa fuori posto c’è. Purtroppo la batteria non è potente come dovrebbe essere e le chitarre sono un po’ basse di volume, cose queste che sottraggono parte della potenza d’impatto dei brani, ma che, visto il grande livello compositivo, passano quasi subito in secondo piano.
In realtà sin da subito questo nuovo disco risulta essere molto più compatto ed heavy dei suoi predecessori, più focalizzato e più organizzato. Se nelle uscite antecedenti c’era sempre lo spettro di una certa immaturità di fondo, ora essa è stata spazzata via per far posto ad una consapevolezza dei propri mezzi che raramente mi è capitata di udire. In particolare sono due le figure che emergono possenti dai solchi delle canzoni, ovvero quella del cantante Fabio Privitera, ugola che sa impreziosire ogni brano con spunti personali, e quella del bassista Giorgio Novarino, macchina ritmica infaticabile ed inarrestabile e che sorregge l’intero incedere dei minuti sulle proprie spalle.
Come avrete compreso, i numeri in “You Die And I…” ci sono e vengono a galla sin da subito. Qualche difetto non spaventa certamente e, forse, contribuisce anche a rendere più “umano” il tutto e, se tali mancanze sono dovute solo a questioni di budget, mi auguro vivamente che il futuro possa dare di più ad una band che si è sempre fatta in quattro per ottenere molto meno di ciò che merita. Un ascolto è d’obbligo.

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