Dopo il piuttosto deludente (per critica e pubblico) “March or Die” (1992), ultimo album per la Epic Records, Lemmy e co. firmarono per la semisconosciuta etichetta tedesca ZYX Records, che al tempo pareva tuttavia offrire buone garanzie, ed entrarono in studio per registrare quello che a tutti gli effetti risulta uno dei migliori (per alcuni “il” migliore album) della loro sterminata e complessa discografia.
Riprendendo tutti i migliori elementi del proprio tradizionale sound e portandoli negli anni dell’esplosione grunge con una sicurezza ed una freschezza del tutto sbalorditivi, “Bastards” non fu un disco capace di affermare che i Motorhead “ci sono ancora”: fu un messaggio a caratteri cubitali per chiarire al mondo intero che i Motorhead “sono ancora i migliori”, con buona pace di critici ed astri nascenti del periodo.
Questo, almeno nelle intenzioni: di fatto, l’album si rivelo’ “bastardo” anche in quanto praticamente introvabile in molti paesi, grazie allo scellerato lavoro della ZYX che si occupò in barba alle promesse quasi esclusivamente del mercato tedesco, trascurando gli altri sia a livello di promozione che di distribuzione.
L’inclusione di “Born to Raise Hell” (nella sua divertente versione cantata assieme ad Ice-T e Whitfield Crane) come traccia di apertura della colonna sonora di “Airheads” (’94, spensierata e spassosa commedia-cult per i rockettari) contribuì fortunatamente a pubblicizzare un minimo l’uscita del nuovo album di Kilmister e soci, non potendone tuttavia risolvere il problema della reperibilità cui soltanto in anni recenti la SPV ha posto rimedio con una doverosa ed attesa ristampa.
“Bastards” è un album vario, scorrevole, ben registrato e suonato (!), in cui ogni canzone ha la propria vivace e distinta personalità a dispetto di una formula ormai ampiamente consolidata.
Il solo quintetto di apertura è assolutamente devastante. Come in un ottovolante, la già incalzante e frenetica “On Your Feet or on Your Knees” sta a “Burner” come la salita sta alla discesa a capofitto: “Death or Glory” è l’adrenalina per il salto che si trasforma in puro godimento, e con “I Am the Sword” ormai si continua la folle corsa con un ghigno compiaciuto stampato in volto.
“Born to Raise Hell”, grande favorita di fan e concerti, è infine un vero e proprio inno all’hard’n’roll, uno dei pezzi più divertenti e trascinanti della discografia degl inglesi.
“Bastards” tuttavia è ancora di più. La semiacustica “Don’t Let Daddy Kiss Me” tocca un tema delicato come l’incesto e le con una grazia ed una delicatezza meravigliose ed insospettabli. Il riff iniziale di “I’m the Man” ci ricorda inoltre che siamo nei primi ’90, e poi quasi simbolicamente esplode in un incedere cadenzato e pesantissimo, bissato dalla conclusiva “Devils” e controbilanciato dal r’n’r di “Bad Woman” e dalla melodica “Lost in the Ozone”.
Tutta la band è al suo meglio, dall’esplosivo Mikkey Dee alle entusiasmanti chitarre di Phil Campbell e Wurzel, col valore aggiunto di una produzione moderna, calda e precisa.
E poi c’è lui, Lemmy, che non ha certo bisogno di presentazioni. Un simbolo, un mito, una delle più clamorose icone del rock’n’roll: se anche voi fate parte del “suo” popolo, non potete proprio, a maggior ragione, fare a meno di questo strabiliante album.