Non è facile recensire il seguito di uno dei dischi seminali del rock, quel “Welcome to my Nightmare” del 1975 che si impose di prepotenza nella storia con la sua innovativa teatralità.

A distanza di trentacinque anni troviamo un inaspettato capitolo secondo che dovrà essere in grado di tenere fede alla intoccabile carriera del maestro dell’orrore; nel recensirlo e nell’ascoltarlo cercherò il più possibile di rimanere obiettivo. Altro colpo di scena è stata la completa (ad esclusione di Chuck Garrick al basso) revisione della line up con un ritorno alla formazione originale del vecchio “Welcome to my Nightmare”, oltre ad innumerevoli collaborazioni per la realizzazione dell’album.

L’opener “I Am Made Of You” parte con uno strano intro di pianoforte che non lascia trasparire molto il tipico sound di Alice Cooper, che prende piede verso metà brano con una splendida parte di chitarra solista di Tommy Denander; a riprendere il suono vecchio stampo ci pensa la successiva “Caffeine”, molto più slanciata e ritmata che vede la partecipazione alla chitarra ed alle voci secondarie di Keith Nelson.

“The Nightmare Returns” altro non è che un breve intro strumentale molto gustoso alla traccia “A Runaway Train”; molto gradevole è la teatrale “Last Man On Earth”, dai ritmi molto sostenuti ed allegri.                        Si prosegue con “The Congregation” che sembra essere stata riesumata direttamente dagli anni ’70 con il suo sound impeccabile e la chitarra di Steve Hunter bene in vista, oltre alla partecipazione di Rob Zombie nelle voci di sottofondo.

Con “I’ll Bite your Face Off” si torna al caro vecchio stampo rock ‘n roll accostabile ad esempio ad un classico come “Under My Wheels”, con una splendida parte di chitarra e un sound invidiabile; a spiazzare facendo tornare bruscamente ai tempi attuali è la ambigua “Disco Bloodbath Boogie Fever”, dalle sonorità molto particolari, quasi elettroniche che fortunatamente, dopo quasi tre minuti personalmente evitabili si scatena in un super assolo riprendendo uno stile nettamente più potente.

Un altro brano all’insegna del rock ‘n roll con “Ghouls Gone Wild”, che sono certo diventerà presto un must nelle setlist live dello zio Alice data la sua straordinaria orecchiabilità; con i suoi due minuti e trenta è un pezzo completo di tutto, concentrato, potente ed adrenalinico.

Immancabile la ballad, che questa volta corrisponde al nome di “Something to Remember Me By” e che alla vecchia e storica “Only Women Bleed” non ha molto da invidiare, visto lo stile molto simile che questo smagliante compositore non ha mai perduto; personalmente l’ho sempre ritenuto in grado di comporre ballad meravigliose ed anche questa volta non mi ha deluso.

Si procede con “When Hell Comes Home”, traccia più statica e comprendente una linea chitarristica ancora una volta degna di nota; sulla seguente “What Baby Wants” abbiamo inoltre la collaborazione di Kesha, per un altro ottimo pezzo dalle sonorità particolari e più moderne rispetto ai brani precedenti.

Con Vince Gill come chitarra solista, questa “I Gotta Get Outta Here” lascia trapelare il lato rock più acustico con un groove sensazionale molto coinvolgente che rende il brano uno di quelli che sicuramente dovrebbero essere eseguiti on stage.

Lo spettacolo si conclude con “The Underture”, uno strumentale mozzafiato che non può essere descritto, va semplicemente ascoltato ed apprezzato come la degna chiusura di un’altra opera che viene lucidata come il ventiseiesimo trofeo di casa Cooper.

Mentre per band come Anthrax od Onslaught questo 2011 ha segnato un ottimo ritorno in pista, per Mr. Alice Cooper non ha fatto altro che confermare quanto già era stato scritto negli anni: l’incubo è più alacre che mai.

 

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