L’evoluzione mediatica e tecnologica, che và ad incidere tutt’altro che positivamente sulla crescita e sulla capacità di applicazione dei giovani nei tempi odierni, è il delicato quanto comunemente riscontrabile tema sul quale Steven Wilson ed i suoi Porcupine Tree si incentrano con attenzione e sviluppano la loro ultima fatica in studio.
Immaginate quindi una palpabile quanto continua atmosfera di tensione, aggiungete frangenti di speranza che vanno ad incastonarsi metodicamente tra un episodio di rabbia ed un altro di disperazione, fate quindi un tentativo per immaginarne un perfetto ed amalgamato risultato…potete scommetterci: non vi siete neanche lontanamente avvicinati all’idea di quanto meravigliosamente perfetto risulti all’orecchio “Fear of a Blank Planet”.
Potrei essere definito esagerato, ma solo da quei lettori non al corrente dell’evoluzione e della rivoluzione che i Porcupine Tree hanno apportato negli anni ad un genere nel quale, oramai, a loro tutto è permesso.
Non si tratta infatti neanche più di “Progressive Rock” nel senso più comune del termine, bensì di (seppur a quello lo si debba ricondurre, in quanto il più efficace ed esplicativo di tutti) un sempre più “Porcupine Tree Rock”…originale, inimitabile, inconfondibile; sono il primo ad affibbiare sotto-stili su sotto-stili ai generi musicali, ma con “Fear of a Blank Planet” sono giunto ad ammettere l’impotenza alla quale obbiettivamente ci si trovi davanti attentando ad una categorizzazione sonica precisa di cotanto capolavoro.
Esatto, capolavoro: siamo davvero al cospetto di un disco impegnato, ragionato, introspettivo, toccante, malinconico e quasi consequenzialmente rabbioso, potenzialmente, ci troviamo ad ascoltare il miglior album dell’anno (non siamo neanche a metà dell’anno, per questo ho preferito specificare “potenzialmente”), ma senza alcun dubbio questo lavoro rientra e rientrerà tra le 5 migliori releases di questi 365 giorni.
Il genio di Mr.Wilson s’è quindi spinto oltre, battendosi e migliorandosi perfino in questo episodio: con “Fear of a Blank Planet” l’ascoltatore si ritrova in pochi attimi divorato da una spirale di sensazioni che spaziano dall’entusiasmo all’angoscia, il mastermind dei PT s’è in effetti sbizzarrito con un coraggioso ed azzeccato tentativo di attraversare i meandri della difficile, quanto contorta e confusa, mente di una generazione di giovani “sperduti” tra tecnologia e disordini dissociali della personalità.
Musicalmente vi è stato un altro passo in avanti della band: paragonando il disco in analisi con il suo predecessore “Deadwing”, si riscontra innanzitutto una complessiva maggior sensazione di continuità che colloca “Fear of a Blank Planet” (manco a dirlo) nella categoria (forse la più interessante, a parer mio) dei concept-album; la forza di coinvolgimento delle melodie e delle atmosfere è nettamente superiore rispetto al passato, come superiore è la potenza dei suoni stessi.
Non esistono ridondanze/fastidiose ripetizioni, assoli al limite del contesto, canzonette (seppur apprezzabili) dai ritornelli e melodie quasi fastidiosamente troppo azzeccate e semplici quanto commerciabili e/o trasmettibili in heavy-rotation da Mtv…solo pura passione per la musica in quanto arte.
Episodi da brivido quali “Anesthetize” o l’omonima title-track sono la somma di quanto appena detto, erroneo sarebbe non citare qualche episodio delle rimanenti tracce dell’album, quanto altrettanto erroneo potrebbe forse essere citarle in qualche spaccato: il motivo è l’elemento sorpresa, onnipresente sul disco e riscontrabile dietro ogni singolo accordo…quindi forse è meglio terminare qui…nella speranza che abbiate inteso cosa vi perdereste se non degnaste d’attenzione “Fear of a Blank Planet”.
Splendido.