“Fidarsi del disgusto”: ovvero quello che, parafrasando il titolo, appare l’unico metodo per concepire un disco sporco, primitivo ed istintivamente violento come quello in esame. I Mistress iterano la formula dall’inizio della loro breve ma intensa carriera e, al terzo full-lenght, sembrano averla fatta completamente propria restituendo finalmente un prodotto, pur nelle sue imperfezioni, sentito, voluto, maturo e completo.
Il risultato è un grindcore grezzo e primitivo ma, al suo interno, variegato in maniera tale da garantire trasformismo ed un filo conduttore che sia degno di questo nome. Trasmettendo un sensazione a cavallo tra irriverenza e provocazione, i cinque non dimenticano le proprie radici geografiche e musicali, affidando il tronco centrale delle proprie composizioni al sicuro, esplorato e solido background fornito da band Napalm Death e, in particolare, Extreme Noise Terror. Un discorso mai derivativo ma, sempre e comunque, continuativo ed affidato ad una vena ispirata che consente un songwriting mai riciclato e, spesso e volentieri, propositivo. E’ così che influssi di follia pura, groove a quintali ed uno sguardo ad un’attitudine stradaiola, indotta da act come Entombed e all’onnipresente spirito hardcore-punk, si integrano bene con un disco che piace, fa dimenare e scorre via veloce grazie anche ad un mattatore vocale come Dave Cunt. Il frontman, davvero incontenibile, riesce a tenere testa al lavoro strumentale dei compagni con uno stile che, grazie ad un’espressività concreta e camaleontica, riesce ad adattarsi agli scenari suggeriti sfoderando growl cavernosi, scream taglienti, sporchi urlati e tutto ciò che l’estremo esige come armamentario.
Una centrifuga sonora che induce al coinvolgimento per tutto il suo giro e che ha il suo unico neo in un minutaggio forse troppo elevato che, pur non disturbando, con uno snellimento avrebbe reso ancor più agilità e fruibilità ad un disco comunque buono ed assolutamente consigliabile a chiunque apprezzi le sonorità.