Parlare di “demo” in questo frangente sembra davvero surreale, perchè “Cantus”, terzo lavoro dei Legion Of Darkness, ha tutte le carte in regola per essere considerato uno splendido full-length. Nato dalle menti di Lord Inferos e Flagellum, provenienti dalla soleggiata Sicilia (nonostante il suono dell’opera confonda su questo, tanto da essere più nordico di molti lavori di terra scandinava), “Cantus” si dimostra un’opera adamantina in tutte le sue forme. A partire dalle composizioni, così mature e ispirate da non sembrare nate da ragazzi alle prime armi, passando dalla potenzialità evocativa delle note che si susseguono in questo capolavoro dell’underground, per arrivare all’atmosfera generata da questo cofanetto di emozioni. “Cantus” riesce infatti a miscelare in maniera sopraffina il carattere ferale e graffiante tipico del Black Metal, con suggestioni oniriche e visionarie. Tutto è impreziosito da inserti folk che danno un sapore ancestrale a ogni traccia, tanto da renderla profonda nello spirito e accattivante nella melodia. Volteggiare di violini si innestano in arpeggi dal procedere malinconico, e riff veloci e nostalgici accompagnano un canto che sa destreggiarsi perfettamente sia nella versione più sporca dello screaming, sia in quella epica e grave del timbro pulito. In certe canzoni, come nella quinta “Solo Sepolcri E Cenere”, i cori antichi ricordano addirittura il canto a cappella degli Ulver di Kveldssanger. Ma il noto gruppo norvegese non è avvicinato solo nei brani che presentano il canto cristallino, ma si può dire che tutto il lavoro rievochi passi di Bergtatt, sia per l’atmosfera crepuscolare e mistica, che per il gusto evidente per l’alternarsi di partiture veloci e melodiche con altre lente e arpeggiate. Questa similitudine non va letta però come scopiazzatura di basso livello, ma come lettura cosciente e personale di certo black metal anni ’90, qua riscoperto nella sua veste primordiale e autentica. Infatti, anche nelle tematiche i siciliani non sembrano perdersi in scontate preghiere sataniche o inni alle terre del nord, ma cercano di riscoprire l’antico paganesimo solare che scuoteva la loro terra, così ricca di tracce di grandi e fiere civiltà del passato. Il tutto sembra confermato dalla dedica di questo scrigno musicale al personaggio che oggi da molte band black (e non solo) viene considerato il nume tutelare in campo esoterico, Julius Evola. In questo canto insomma i Legion Of Darkness hanno dimostrato di avere raggiunto la piena maturità, regalando alla scena italiana un album (perchè così andrebbe considerato) pregno di pathos, ricordi, atmosfera e stimoli intellettuali (a partire dai fraseggi musicali, per passare appunto alla riscoperta sincera del paganesimo). Nessuna canzone è stata citata nel dettaglio semplicemente perchè tutte sono curate nei minimi particolari e sembrano far parte di un unico disegno, che non sempre è positivo cercare di frammentare e analizzare peculiarmente. L’età dell’Oro sembra essere risorta sulle spiagge dei Legion Of Darkness. Prestate attenzione a questo gruppo, se la merita davvero.

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