I Last Warning sono un punto cardine del panorama progressive nostrano: se tre album all’attivo in ben ventidue anni di carriera possono sembrare pochi, gli svariati live acts di supporto a gruppi come Carcass, Uriah Heep ed Extrema conferiscono alla band friulana uno status di tutto rispetto. Una band che più volte si è trovata sul punto di fare il grande salto ma che ha finito per arenarsi, tentando ogni volta di ripartire con immutata passione e professionalità.
Terzo capitolo della loro discografia, “Throughout Time” esce a otto anni di distanza dal precedente “Under A Spell” e come da pronostico, mantiene saldi i riferimenti ai mostri sacri del metal progressive; i neofiti del genere sapranno quindi cosa aspettarsi e non faranno fatica a familiarizzare con le sonorità del disco. Tutto in parte già detto quindi: la band si muove su sentieri conosciuti con estrema naturalezza cercando per quanto possibile di non suonare troppo debitrice verso i soliti nomi (Fates Warning su tutti).
Tuttavia, anche se dal punto di vista esecutivo non c’è nulla da obbiettare, qualche dubbio in qua e là affiora: il sound dei Last Warning soffre di una eccessiva monoliticità e finisce per conferire a quasi tutti i pezzi lo stesso mood; manca insomma, quel qualcosa che trasformi un disco onesto e ben suonato, come ne passano tanti nel panorama progressive, in un lavoro meritevole di essere innalzato una spanna più in su degli altri.
Sembra quasi che la band abbia ceduto alla tentazione, assai diffusa nel prog, di tralasciare l’aspetto compositivo a favore di una eccessiva precisione formale; per quanto i Last Warning si sforzino di mischiare le carte in tavola con una certa abilità, i pezzi non riescono ad essere completamente coinvolgenti e la componente emozionale pare, in certi casi, addirittura in secondo piano. Un vero peccato perchè gli spunti degni di nota non mancano affatto e prendono la loro forma migliore nelle tracce a più ampio respiro, come la ballad “It Slowly Dries My Tears”, oppure nella bellissima “In The Flood”, una lunga e intensa suite a due voci, raro esempio di bellezza e personalità, che prosegue il percorso operistico iniziato col precedente lavoro.
Alla fine dei conti “Throughout Time” non è un brutto disco, ma un disco come ce ne sono tanti. Il che, visto il potenziale della band, lascia un po’ di amaro in bocca.
Parlare di occasione perduta sarebbe eccessivo ed ingiusto; ci auguriamo che il rapporto con l’etichetta MyKingdom Music possa essere duraturo abbastanza da non farci attendere altri otto anni per un pronto riscatto.

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