Era il 1984 quando l’allora giovanissimo e incredibilmente gracile (vista la sua mole odierna) Yngwie J. Malmsteen (quella J. sta per Johann) fece gridare al miracolo il mondo intero, stampa ed audience, consegnando quello che resta ancora il suo disco migliore, ovvero “Yngwie Malmsteen’s Rising Force”.
Questo disco, dopo l’operato dei vari Deep Purple, Led Zeppelin e Jimi Hendrix, ha rivoluzionato in maniera estrema il mondo della musica rock creando in passato, presente e futuro decine e decine di cloni, alcuni dei quali addirittura imitano Yngwie anche nel look (vedi Joe Stump).
Ma perchè tutto ciò? Perchè si è creato questo vero e proprio fenomeno? Non è niente di originalissimo direte voi, già Blackmore aveva accostato la musica classica alla chitarra! Beh i paragoni con i Deep Purple di Blackmore sarebbero inutilmente sprecati, è ovvio, però anche di Yngwie ce n’è uno solo! Si può dire che la tecnica, la sfrontatezza dei suoi atteggiamenti e persino del modo in cui suonava e suona ancora oggi (tipo lanciare la chitarra in aria, farla volteggiare intorno al collo) hanno contribuito a creare ciò che può essere definito un vero e proprio culto della chitarra che, per entrare a farne parte, implica assistere ad un suo qualsiasi show.
Affiancato da una line-up storica (ed irripetibile) che vedeva l’omino Jeff Scott Soto dietro al microfono, Jens Johansson ad occupare tastiere e Barriemore Barlow dietro le pelli, lo svedesone ha scritto un vero e proprio pezzo di storia.
Ho letteralmente consumato i solchi di questo cd, ascoltato e riascoltato sino alla nausea (a dire il vero oggi lo ascolto pochissimo perchè mi sono spostato su altri lidi) ma ogni singola nota (e ce ne sono davvero tante), anche a distanza di anni, risulta sempre fresca, giovane, intramontabile ed inimitabile.
Credo sia inutile descrivere composizioni stupende come “Black Star”, “Icarus Dream Suite” (nella quale riprende lo stupendo Adagio di Tommaso Albinoni) o “Far Beyond The Sun” anche perchè puntualmente le ripropone in rinnovata veste (sempre più cattive) durante i suoi concerti oppure ogni tanto ne riprende qualche riff o qualche assolo nei suoi ultimi lavori (inutire dire che oramai copia se stesso facendomi incazzare come una bestia!). Intrecci di chitarre (in “Icarus Dream Suite” si parla addirittura di tre tracce sovrapposte) acustiche ed elettriche, riff granitici e veloci come non mai (c’è chi lo chiama il Paganini della chitarra e c’è chi dice che, come l’indemoniato genovese, avesse stretto un patto col diavolo per suonare in quel modo), tastiere a volte epiche a volte neoclassiche che duettano con la chitarra (impressionante a quell’epoca), basso velocissimo (è lui stesso a suonarlo) ed un drumwork di tutto rispetto hanno fatto si che Malmsteen entrasse nell’olimpo dei musicisti.
Ancora oggi, nonostante non si sia mai rinnovato (a differenza di altri mostri sacri come Joe Satriani e Steve Vai che addirittura sono riusciti a far convivere chitarra e musica elettronica) resta un dio, intoccabile, della chitarra… un maestro! Intramontabili anche le uniche non-strumentali del disco, “Now Your Ships Are burned” ed “As Above, So Below” fanno parte della storia grazie alla loro possenza e cattiveria.
Insomma oggi, dopo anni (grazie ad Heavy-Metal.it) mi ritrovo ad ascoltare questo capolavoro che, per primo, mi ha avvicinato al mondo della musica metal (il mio amico mi prestò una cassetta registrata all’età di 16 anni e fu amore a primo ascolto). Dopo qualche lacrima versata per i ricordi evocati (davvero tanti per passare inosservati) la certezza è una sola: i miracoli avvengono raramente e non si dimenticano mai. Se il mio amico (che oggi ascolta Battisti, Vasco ecc..) non me l’avesse mai prestato, oggi non sarei qui a scrivervi e non avrei mai conosciuto questo mondo fantastico, grazie!
Devo consigliarlo a qualcuno in particolare? Impossibile! Tutti dovrebbero ascoltarlo e riascoltarlo!