Quello dei finlandesi Torture Killer era stato un nome molto in voga un paio di anni fa, grazie ad un vero e proprio discone qual era stato il loro secondo “Swarm!”. Un prodotto d’impatto, concreto e validissimo, che spazzava letteralmente via la concorrenza nell’ambito del death/groove. Il fattore “X” che ha contribuito alla formula vincente dell’album è stato sicuramente il frontman dei Six Feet Under, all’unanimità considerati fra i padri del genere. Il perchè è presto spiegato. Da veri e propri fanatici della band floridiana, i Torture Killer hanno sempre composto musica molto simile a quella dei loro padri ispiratori, risultando anche a dir poco preparati. Il vecchio Chris Barnes li ha sentiti, gli son piaciuti, e ha deciso di cantare sul loro cd. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti per quattro ragazzi che si sono ritrovati ad avere come singer il loro idolo, quello che è stato apprezzato come uno dei principali cantori del death metal tutto. E diciamolo, è incredibile come “Swarm!” abbia superato in bontà qualunque cosa sia stata prodotta dai Six Feet Under negli ultimi anni, un gruppo che sembra quasi aver perso un po’ la bussola con prove in studio non all’altezza dei primi due/tre full-length.
Tornando ai nostri, c’era molta curiosità da parte mia di assaggiare il nuovo opus discografico, visto il ritorno all’ovile di Barnes e l’arrivo di un nuovo cantante. Come prevedibile, si nota subito un calo generale delle composizioni, che non sono all’altezza del disco precedente. Ma quello che preoccupa di più è il fatto che non ci sono scuse del tipo “Chris è andato via ed è logico perderne in qualità”, perchè la presenza del singer non era servita in termini di songwriting, visto che i brani erano stati già scritti prima del suo arrivo. Ci si aspettava quindi, se non la perfezione, almeno una conferma, cosa che puntualmente non c’è stata.
Quello che manca clamorosamente è il fattore personalità. Nel 2009 risulta difficile distinguere i Torture Killer da una qualsiasi buona band di death metal sul panorama musicale. Dispiace, perchè qualche spunto interessante c’è, ma non è sufficiente, la ripetitività di fondo è troppo marcata, e spunta fuori anche se la durata del dischetto sfiora solamente la mezz’ora. A favore dei nostri gioca sicuramente il fatto di non limitarsi a proporre qualcosa di canonico, ma di spruzzare le loro tracks con vari elementi di natura diversa, tanto che in alcuni frangenti si potrebbe parlare di thrash metal, se non fosse per la voce cavernosa e in growl che poco c’entra con quel genere. Sono molto interessanti certi assalti in up e mid tempo che svecchiano il suono, amalgamandosi al meglio con le tipiche ritmiche più tipicamente death. Il groove esce fiero in molti passaggi, non c’è solo violenza all’interno di questo nuovo “Sewers”, si percepisce un lavoro di fondo sulle varie canzoni per cercare, senza riuscirci poi molto però, di non risultare troppo uguali. Infatti la bontà dell’album è racchiusa solamente in questa abilità a mescolare Obituary e Six Feet Under con ad esempio Slayer e Testament. Ma non basta. Ci vuole di più, manca il fattore “X” al quale mi riferivo all’inizio, quello capace di rendere speciale un disco. Sarò anche esigente, ma se durante l’ascolto quello che mi viene in mente è “mi sembra di averlo già sentito”, è evidente che qualcosa non funziona del tutto.
Siamo sempre in media con ciò che il mercato ci propone, oserei dire che forse anche in questo caso l’allievo ha superato il maestro (“Sewers” è superiore a “Death Rituals”, ultimo dei Six Feet), ma mi secca ammetterlo, sono rimasto un po’ con l’amaro in bocca.
Concludo con un semplice invito a procurarsi intanto il precedente “Swarm!” se ancora non li conoscete, è sicuramente il punto migliore di partenza per cominciare a farvi martellare dalla loro musica. Da parte mia posso solo sperare che questo “Sewers” sia solo un leggero passo falso che potrà essere lasciato alle spalle con il prossimo. Perchè le qualità e le capacità ci sono eccome, ce lo hanno ben dimostrato.

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