Terzo album in studio per i norvegesi Storyteller, i Cantastorie, monicker che la dice lunga su quale possa essere il genere proposto da questi quattro musicisti. E infatti ci troviamo di fronte ad una proposta power, a cui si aggiungono parti quasi “epicheggianti” supportate da un cantato più teatrale e corposo rispetto alla media degli screamer nord europei.
Questo è sicuramente un fattore positivo e, assieme alle melodie mai troppo banali o smielate, contribuisce a portare il giudizio di quest’album ben oltre la temuta sufficenza. Più che buona è addirittura la traccia numero due, “seed of Lies”, a cui spetta il compito di opener del disco dopo il breve, classico intro di “Voices from the past”.
Strofa tirata, bridge cadenzato e un bel ritornello dalla melodia azzeccata sono gli highlights di questa bella canzone. Ma sono presenti anche altri brani di buona fattura su tutto il disco, ai queli però si alternano episodi non troppo riusciti come “Words out of Greed”, canzone che non si eleva oltre il livello di “riempitivo”.
Discorso differente invece per la tirata “Conviction”, in cui Jacob e Fredrik si alternano in un riffing serrato e chiuso, contribuendo a dare un che di “oscuro” al brano (specialmente nelle strofe), oppure per la conclusiva ed epica “Trails of Blood”, che porta alla mente i primi Rhapsody, quantomeno per il gusto nelle melodie vocali. In questa canzone fanno anche il loro ingresso in scena strumenti prettamente medievali (passione di L-G Person) come flauti e tamburelli, salvo poi lasciare spazio alle immancabili chitarre elettriche e batteria pestata con decisione.
Tornando al discorso “medievale” (o presunto tale) da segnalare la prima parte di “The Mass”, in cui gli strumenti acustici la fanno da padrone anche se, come nel caso precendente, presto lo spazio viene lasciato a strumenti moderni ed elettrici.
Nulla di particolarmente innovativo quindi, ma le melodie non banali e allo stesso tempo orecchiabili presenti in diversi brani, il cantato che quantomeno vuole essere un minimo personale e la buona produzione in generale del disco, fanno si che “Tales of Holy Quest” venga da me promosso senza problema alcuno.
Si potrebbe discutere per millenni, e lo faccio puntualmente in ogni mia recensione, sull’importanza dell’originalità nella valutazione di un disco.
In questo caso gli Storyteller hanno, aehm, qualcosa in più da raccontare, fortunatamente, e il fatto che lo abbia continuato a sentire anche dopo avere già inquadrato il disco ne è la prova. Almeno per le mie orecchie.

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