Gli Angra ritornano sulle scene dopo l’ultimo EP “Hunters and Prey” con questo doppio live, quasi a voler dimostrare che gli Angra sono solo loro e che ormai non ha più senso parlare di “nuovo corso”. E in effetti visti i risultati di questa partita giocata in casa (San Paolo, Brasile), gliene si può dare ragione.
Premetto da subito che questo album ha due difetti: il primo è la produzione assolutamente non eccelsa, quasi da bootleg di ottima qualità, mentre il secondo lo potete vedere da soli dando un’occhiata alla track list di questi due CD. E’ quasi un “Rebirth” più il best of degli altri album, ma credo che non sarebbe potuto essere altrimenti. In ogni caso questi possono essere visti come difetti opinabili, specie nel primo caso, dove ad un suono più scarso dal punto di vista qualitativo credo possa corrispondere in maniera proporzionale una maggiore veridicità dello stesso. Insomma, un live vero e non ritoccato (o semplicemente meno ritoccato) come invece sono molti altri.
Per l’altro difetto (o, se preferite, caratteristca) le giustificazioni sono a mio avviso ad un livello più puramente di marketing/immagine. Con questo prodotto ci si prova ad avvicinare sia a possibili acquirenti che non hanno mai ascoltato nessun disco degli Angra che a fan della prima ora che non hanno seguito i cambiamenti di line-up del gruppo.
In ogni caso, la versione di “Angels Cry” presente sul primo CD vale da sola l’acquisto di tutto il live per chiunque ami gli Angra. Trovo sia assolutamente migliore dell’originale da studio, non solo per la differenza nel cantato ma proprio per la resa strumentistica, che risulta addirittura più piena e corposa. Insomma, un vero gioiello.
Ma come evitare un confronto sullo stesso terreno, ovvero le canzoni dei primi tre album degli Angra, fra il “vecchio” Matos e il nuovo Falaschi? Beh, la mia preferenza va a quest’ultimo, sebbene Matos continui a piacermi molto. Certamente in estensione Andrè vince sempre, riuscendo a mascherare meglio il falsetto laddove Edu deve ricorrerci senza troppe mezze misure (ascoltatevi la splendida “Carry On” o “Time” per farvene un’idea), ma nei toni più bassi l’espressività e la versatilità di Falaschi la fanno da padrone, lasciando il povero Matos alla sbarra. Nei pezzi studiati apposta per Edu invece la superiorità è schiacciante, e non me ne vogliano i molti fanatici della sirena degli Shaman.
Un altro punto di confronto, dato anche dalla presenza di un assolo di batteria in chiusura del primo disco, è quello fra i batteristi. Aquiles Priester (già nei brasiliani Hangar e nella Di Anno band) è molto bravo e vario, ma a mio avviso perde il confronto con il suo “rivale” Ricardo Confessori, ma non poi di molto.
Altro episodio davvero ben riuscito di questo live è l’ottima versione di “Metal Icarus”, che viene assolutamente rivitalizzata e resa più calda rispetto all’originale presente su “Fireworks”. Molto bello inoltre il break centrale in cui Edu si diverte a giocare col pubblico, facendo quasi pensare ad un live hard rock più che ad uno di power metal. Chicca finale infine la cover di “The Number of the Beast” che si lascia ascoltare tranquillamente ma senza far gridare al miracolo.
E infine la parte più delicata, specie dato che si tratta di un live: come giudicarlo e soprattutto, a chi consigliarne l’acquisto? Come avrete potuto capire il disco è molto buono a mio avviso, presenta dei difetti sicuramente ma credo sia possibile passarci sopra (ma ci vorranno un po’ di ascolti per togliersi l’amaro di bocca della produzione) e mi sento di consigliarlo, come già accennato, in primis a chi non ha nulla degli Angra: è un ottimo modo per avvicinarsi al loro mondo. In seconda istanza a chi non possiede “Rebirth”, dato che ne troverà praticamente due terzi all’interno. A chi ha già una buona conoscenza degli Angra ma non troppa passione invece mi sento di consigliare un ascolto preventivo per schiarirsi le idee mentre ai fan del gruppo brasileiro, beh, cosa fate ancora qua? Correte subito nel vostro negozio di fiducia!

Davide Ferrari

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