L’ultima immagine dei Symphony X nella mia mente risale alla breve apparizione del Gods of Metal 2002 dove il gruppo è stato letteralmente boicottato dalla organizzazione, con l’inutile scusa di guadagnare tempo (alla fine siamo usciti alle 23:00, prestissimo) si è verificata la solita squallida pratica che casualmente accompagna ogni festival dove i Manowar sono headliner, ossia la metodica esclusione dalla scena di chiunque non sia i Manowar. Comunque i cinque musicisti del New Jersey hanno tenuto egregiamente la scena mostrando i denti fin da subito, un rabbioso Russel Allen, si scoprirà successivamente infuriato con lo staff del festival, ha assalito l’audience sforando una delle prove più grintose della sua carriera, non di meno l’ottimo Micheal Romeo, che si è dovuto settare la chitarra on stage, ci ha letteralmente incantati eseguendo passaggi tecnici (come lo sweep su cinque corde che introduce “Smoke and Mirrors”) distruggendo definitivamente il paragone col suo maestro del passato Y.J. Malmsteen che purtroppo a queste raffinatezze ultimamente arriva di raro.
Da sempre il gruppo ha catalizzato su di sé l’attenzione del pubblico per vari motivi, inizialmente perché i Symphony X sono la migliore band americana degli ultimi 10 anni e sfido chiunque a smentirmi, in secondo luogo perché i nostri hanno sempre e perfettamente unito le progressioni tecniche di scuola neoclassica con il tipico sound power melodico di estrazione europea ponendosi con connubio tra due realtà mai del tutto unite.
Il successo di “Symphony X” dimostrò come il pubblico fosse alla ricerca di questo aspetto compositivo, quando i guitar heroes incominciarono a spostarsi verso lidi più rock, mentre impazzava il black metal in mezza Europa i nostri hanno debuttato con un disco sperimentalmente innovativo, basato sia sui canoni neoclassici malmsteeniani ma pure sulla melodia del decennio 80.
Lo stesso discorso vale per il secondo “The Damnation Game”, dove forse il gruppo ha focalizzato meglio il tiro e si è spostato su atmosfere meno solari, per certi aspetti minori, già perché i Symphony X sono americani e si sente, la loro musica è melodica ma pur sempre riflessiva e ricercata.
La teatralità del gruppo esce prepotentemente col terzo “The Divine Wings of Tragedy” un disco molto complesso, che con questo “The Odyssey” ha molto in comune, e che rivela la vena più prettamente progressiva dei nostri, ancora oggi c’è chi sostiene che il terzo sia il miglior disco del gruppo, sebbene si tratti di un capolavoro la questione resta aperta.
Per quel che riguarda chi scrive, “Twilight in Olympus”, è il disco migliore dei nostri, e in linea di massima uno dei cinque dischi metal di sempre, potrei tenervi qui un mese a parlare di questo platter, vi basti pensare che tutto ciò che ho descritto prima qui viene ripreso e migliorato per dare origine a un’opera equilibrata e compatta di power progressivo.
Intanto i Symphony X hanno assorbito la cultura greco-latina classica, ormai le loro canzoni non sono tutte incentrate su resoconti di antichi fatti mitologici, o storici occorsi ai popoli che vivevano sulle sponde del Mediterraneo quattro millenni or sono.
In questa ottica nasce il concept di “V” su Atlantide, la mitica civiltà narrata da Platone e scomparsa misteriosamente negli abissi in seguito ad un cataclisma, per l’archeologica si tratterebbe di una civiltà pre-minoica situata nell’Egeo centrale sull’Isola Santorini che in effetti fu quasi affondata da una eruzione.
Il richiamo del mare nostrum non ha lasciato Russel Allen e soci che in questa occasione si affidano al mito più famoso della civiltà occidentale, L’odissea, scritta da Omero (qui ci sono molte discussioni) il cieco, è la cronaca di Ulisse re dell’isola di Itaca (ossia Odisseo) e del suo viaggio attraverso i mari dopo la guerra di Troia per fare ritorno a casa. Il libro, l’avrete letto a scuola, ci conduce in isole lontane popolate da creature mitologiche, gli dei hanno un ruolo centrale nella storia perché spesso ostacoleranno la nave di Ulisse, così come le avventure eroiche del protagonista saranno condizionate da mostri, sirene, ninfe, maghe etc. Quello che mi preme segnalarvi è la totale importanza del personaggio di Ulisse, ossia l’uomo moderno, che attraverso il viaggio (l’esperienza) giunge al suo scopo (Penelope che lo aspetta a Itaca) usando solo la sua intelligenza. Questo non l’ho detto io ma uno che si chiamava James Joice e che fu il più grande scrittore irlandese del secolo scorso e riscrisse l’odissea (il libro si chiama “Ulysses”) in chiave moderno-sociale, una lettura che i Symphony X di certo non hanno mancato e che dimostra come anche la letteratura antica possa portare un messaggio attuale.
Si aprono le danze con un brano creativo e particolare come Inferno dove la classe indiscussa di Michael Romeo si esprime in fraseggi ritmici al limite del funambolico, praticamente non si sono mai sentite delle costruzioni tanto articolate in sede di riffing, la melodia però si linearizza grazie ad un ritornello classicheggiante supportato dall’ottimo Allen che si dimostra rabbioso nella strofa quanto pulito nel refrain.
Decisamente cattiva, come mai prima d’ora, la successiva Wicked (appunto) ci mostra un lato inedito dei Symphony X, quello thrash, badate non stiamo di fronte ai Pantera ma la cattiveria c’è tutta, anche qui è il ritornello a garantire il trademark della band che con brani come questo spopolerà le platee di mezzo mondo. Si torna un poco sui vecchi passi, degli ultimi due lavori, con Incantation of the apprentice un brano progressivamente epico capace di stupire per le venature tecniche ed i refrain melodici accattivanti, la raffinatezza del gruppo rinasce nel ritornello che da solo rappresenta un monumento compositivo.
Giù il cappello innanzi a Accolade II il cui predecessore si cela tra i solchi di “The divine wings of tragedy”, il brano da solo vale l’acquisto di tutto il cd, un raffinatissimo prog-metal tecnico dove Jason Rullo ci dimostra come un grande della batteria si veda sui pezzi meno tirati e più ricercati, stesso discorso per Lepond che qui ha molto spazio a disposizione e si sente.
Il disco si incendia nuovamente con King of terros, che vi invito a scaricare dalla nostra sezione mp3, un brano tanto potente quanto imprevedibile dove le chitarre ritmiche e le fughe tastieristiche si sprecano, praticamente una rilettura moderna del concetto compositivo espresso dai Dream Theater su “Awake” e parzialmente ripreso sul primo cd di “Six degrees of inner turbolence”. Powereggiante e ricca di velocità The turning ci ripropone quei Symphony X più diretti e energetici dei primi lavori ma rivisitati da una visione più matura dell’approccio al brano, sopratutto Allen si distingue per i cambi timbrici donando al pezzo un piacevole feeling intrigante.
Avevo dimenticato qualcuno? Michael Pinnella poteva passare inosservato? Non credo, il solo pianistico di Awakening fonde il jazz moderno di improvvisazione e le ritmiche metal più oscure in un esperimento dagli effetti incontrollabili, bravi e ottima la prestazione del tastierista.
Eccoci finalmente alla title-track, un brano di 24 minuti diviso in vari movimenti che incomincia con un approccio epico, decisamente sinfonico, da far impallidire anche il più accanito fan dei Rhapsody, si parte con la voce calda di Allen sulle corde acustiche di Romeo, che però non tardano troppo a incendiarsi e regalarci ottimi spunti progressivi, a ogni riff mi chiedo come si faccia a centrare gli armonici artificiali in quel modo, ma non basta anche la sezione ritmica è assoluta protagonista con soventi cambi di tempo e di atmosfera accompagnati dall’interpretazione magistrale di Allen sempre pronto a raggiungere al cuore l’ascoltatore con la sua timbrica versatile.
Ho detto tutto, fate vostro questo disco poderoso, con gli Iron Savior (che non c’entrano nulla) io candido i Symphony X alla palma di disco dell’anno, fatemi sapere.

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