Che cos’è la bellezza? Che cos’è la fragilità dell’animo? Osservare i nostri stati d’umore nel mentre della loro triste decadenza? Tutto cio che molti di noi si chiedono è stato composto in musica da questo disco. Gli Shape Of Despair pubblicano questo terzo album, superando se stessi ed ogni aspettativa. Dopo il precedente Angels Of Distress che li proiettò di diritto nell’elite del funeral doom mondiale, sembrava che pochi gruppi potessero creare un album del genere così romantico ma allo stesso tempo decadente, ma loro ci sono riusciti.
A questo punto molti di voi si chiederanno “Ma cos’è il funeral doom?”. La risposta è abbastanza semplice: il funeral doom è un estremizzazione del suddetto genere, rallentata a dismisura, mischiata con influenze che spaziano dalla musica classica, al black metal a volte, ma principalmente dalla musica solenne funebre. Gli Shape Of Despair vanno oltre tutto questo, mescolando questi elementi con il gothic-doom di My Dying Bride e Anathema, creando un connubio fantastico che si chiama Illusion’s Play.
Veniamo dunque al disco. Sei tracce, lunghe a dismisura (com’è lecito aspettarsi) di una caratura superiore.
Sleep Mirrored è l’inizio di tutto: sei minuti di strumentale, un introduzione all’album senza dover essere per forza uno stacchetto particolare, che si snoda nella sua struttura si semplice, ma dannatamente bella, come un tutto il resto dell’album. Quasi senza accorgersene inizia la seconda traccia, Sleep Mirrored. Un duetto di Pasi e Natascia in pulito, le armoniche di chitarra di Jarno, in un tutt’uno con tastiera e violino, splendondo di una bellezza disarmante. Ma quando pensavamo di appagarci con tutto questo la canzone cambia, si fa drammatica, i growls irrompono e le chitarre dipingono l’atmosfera ormai corrotta dalla tristezza.
La musica sfuma e ci trascina lenta e dai toni quasi ambient verso la seguente “Entwined In Misery”. L’apertura è delle migliori, una carica di disperazione musicale ci trascina in questo mare di note, dove i growls di Pasi dominano la scena, decantando un poema maledetto, che prende forma tra le armonie e i toni marziali, senza forzature, come fosse un corso naturale. Ma come il canto abbandona, entra una tastiera, minimale ma azzeccatissima, che potrebbe durare all’infinito mescolata con la base della canzone, portando avanti il pezzo ancora, in lento decrescere, fino alla sua conclusione. Lento arpeggio, atmosfere soffuse, in un crescendo lungo e disarmante, fino all’inizio vero e proprio della canzone, dove i growls si contrappongono al coro femminile, dove regnano violini malinconici e oscuri. Il prosieguo si contrae sulla tastiera per riesplodere nel climax iniziale col cantato ancora piu aggressivo a braccetto delle chitarre fattesi piu pesanti.
Tempo della penultima traccia, e ci troviamo di fronte al pezzo piu pesante dell’album, Fragile Emptiness, che nonostante il titolo faccia pensare ad altro, è quello con la ritmica piu incisiva, quasi death metal rallentato, se non fosse per i contorni di tastiera e violino. Il tutto si alterna come fosse la cosa piu banale di tutte, a vuoti colmi solo da qualche nota di piano o arpeggi, lasciando spiazzato l’ascoltatore, trovandosi di fronte a qualcosa che non si riesce a capire di primo impatto.
Lasciata per ultima, arriva la title track, titolo piu che azzeccato. Il silenzio, le note di un organetto che vanno e scompaiono, il buio e poi l’apocalisse. Da dietro l’angolo il muro di chitarre e voci avvolge il suono, seguendo la sottile scia di note gia disegnate nell’inizio del brano. L’armonia del tutto produce un effetto sublime, sia come interezza, che come gusto. Ma anche i muri scompaiono, lasciando spazio alle tastiere che si inseriscono nella parte finale del brano, cantato solo da Natasha, per concludere questo capolavoro mostrando il lato piu dolce e femminile della loro musica.
Ascoltare album del genere e doverne parlare spesso è difficile, e in questo caso lo è. I ragazzi finlandesi hanno messo in piedi un qualcosa di indefinito, immenso e stupendo, un capolavoro del genere (e perchè no, di tutta la musica “oscura” che c’è nel metal) che in pochi possono fare. La qualità è altissima, la noia non esiste (un’ora per sei brani sembra lunga, ma passa senza accorgersene), e la band si merita tutte le nostre attenzioni.
Per chi è gia a conoscenza più o meno del genere, l’acquisto è obbligatissimo, forse necessario per la propria sopravvivenza (perlomeno della mia), per chi vuole scoprire una realtà sconosciuta del metal, è un punto iniziale ottimo. Una delle uscite migliori degli ultimi anni, senza ombra di dubbio, che assieme ai Morgion ed Officium Triste forma la tripletta doom del 2004 per eccellenza.