Esordio discografico sotto l’etichetta Inside Out per per la nuova band di Kurdi Vanderhoof, mitico chitarrista dei Metal Church. Il gruppo ha operato una scelta a mio parere decisiva nella realizzazione di questo album: ha deciso di usare degli strumenti analogici. Il risultato è un album che suona esattamente come uno degli anni ’70. Ciò che stupisce è che nonostante tutto sia un genere conosciuto ed anche inflazionato, questo gruppo riesce ad infondere una freschezza ed un’energia che difficilmente si riesce a trovare nei tanti promo che vengono sfornati dalle varie etichette.
È molto difficile segnalare uno o più pezzi che possano risultare i migliori od altri meno validi. Un occhio di riguardo va dato sicuramente ai seguenti brani: la titletrack, una vera mazzata sonora che riprende molto lo stile dei Deep Purple ma anche quello degli Yes, con l’hammond di Cokeley e la chitarra di Vanderhoof a farla da padrona, senza però dimenticare gli ottimi chorus e le linee vocali create da Albright, The Fringes, brano che trasuda adrenalina e potenza da ogni nota, pur conservando una linea melodica costante e dei riff tipicamente old-school, che lo rendono orecchiabile, coinvolgente e trascinante. Ottimo il duello musicale chitarra/hammond che fa tornare in mente i vecchi fasti dei fraseggi Lord/Blackmore ma soprattutto quelle ormai mitiche esibizioni degli indimenticabili Emerson, Lake & Palmer.
Con Seasons si parte per un viaggio nel clima psichedelico dei primi anni ’70, con le sonorità quasi progressive che hanno reso famosi i Genesis(quelli di Peter Gabriel, non quelli capeggiati da Phil Collins), Find The Time, primo pezzo atmosferico presente nell’album, che agli ascoltatori di musica legati alle sonorità degli anni ’70 farà ricordare gli esordi di gruppi come Rainbow, Yes, Deep Purple ed anche i Kansas. Nonostante un inizio molto sincopato, il brano esprime tutta la sua natura progrssiva ed anche psichedelica grazie all’infaticabile hammond di Cokeley ed alla chitarra di Vanderhoof, che riescono a tessere dei riff che definire micidiali sarebbe riduttivo, Speed Of Time, altro pezzo che dopo un intro molto melodico lascia spazio all’energia ed agli immancabili duelli a suon di riff taglienti e di pura potenza tra hammond/chitarra/voce, senza però tralasciare quella vena melodica che ormai è la spina dorsale di questo gruppo e Sunshine, con il quale il gruppo si sposta sulle sonorità psichedeliche care ai primi Pink Floyd, mettendo un po’ da parte quelle sonorità progressive che avevano caratterizzato praticamente tutti i precedenti pezzi; questo brano sembra quasi un’ode in musica dedicata all’astro più luminoso del cielo.
La chiusura di questo piccolo capolavoro prodotto da Kurt Vanderhoof è affidata a Bringin’ It On, altro stupendo pezzo melodico ed atmosferico che farebbe venire la pelle d’oca anche al thrasher più incallito. È proprio il caso di dire che quest’ultima traccia è la classica ciliegina sulla torta. Per il sottoscritto è praticamente impossibile trovare dei punti negativi in questo debutto discografico di grande valore. Le otto tracce presente sono come delle tessere che lentamente prendono forma fino a diventare uno splendido mosaico che si chiude in maniera maestosa con il brano finale. A mio modesto parere questo è una gemma che chi ascolta musica ed è legato, come me dal resto, alle sonorità degli anni ’70 non deve lasciarsi sfuggire.

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