Essere il simbolo dei The Crown senza costituirne la mente. Una pericolosissima arma a doppio taglio con la quale sono costretti a scontrarsi, ad ogni tentativo, il bravo Johan Lindstrand ed ogni brano in cui mette lo zampino. Nonostante quei ricordi rappresentino il passato ormai remoto, anche in questo caso il pericolo è che il paragone con le rimpiante gesta lontane contribuiscano ad affondare definitivamente un disco già di per sè mozzo, ferito e per niente memorabile.
E’ così che, presi dall’incomprensibile fretta che negli ultimi tempi affligge buona parte del roster Nuclear Blast, i One Man Army And The Undead Quartet tornano sul mercato con un disco assolutamente da dimenticare per le qualità espresse. Il risultato di cotanta furbizia è un’opera insufficiente e caratterizzata da idee talmente impastate da apparire incredibilmente stancanti dopo pochissimo. Per farsi un’idea dei contenuti delle coordinate stilistiche di questo ‘Error In Evolution’ è sufficiente prendere il pastone del già non eccezionale esordio ed accelerare le ritmiche senza un gusto evolutivo degno di questo nome. Pur non avendo saggiato quel ’21th Century Killing Machine’, che aveva scandito il ritorno sulle scene del già citato Lindstrand, immaginare il quadro è abbastanza semplice. Death-thrash sparato ed oltranzista, ispirato disordinatamente da scena svedese e americana, che, rubando a piene mani da At The Gates, Dismember e Testament, tenta di cavalcare la cresta di un’onda ormai sporca e satura. La solita solfa: tecnica ineccepibile, produzione eccezionale, idee che rasentano lo zero ed una volontà che non è da meno. Un disco arido che, con la frettolosità di songwriting che lo affligge, perde anche il buon groove del suo predecessore lanciando brani per la maggior parte piantati e legnosi. Non è un caso che il meglio, in questi quaranta minuti di noia, sia riservato da brani in cui la band spezza, inserisce melodie, finge di provarci come nei chorus accattivanti dell’illusoria opener e la dinamicità ritmica della buona “The Supreme Butcher”. Tutto il resto è noia in un lavoro in cui , l’unico elemento calzante, sembra essere un titolo quanto mai esplicativo della realtà vissuta dalla band svedese tra un errore e l’altro.