…ed il 2012 ha visto l’uscita di  The Lord of Steel, ultimo lavoro in studio dei Manowar, a mio avviso piuttosto atteso, per via della parabola qualitativamente discendente che il combo NewYorkese ha imboccato da alcuni anni a questa parte: inversione di tendenza e ritorno alle glorie passate, o caduta libera verso l’ignoto? Le quotazioni in borsa dell’acciaio stanno passando attraverso un periodo sfortunato: la mia risposta, è fuor di dubbio, la seconda.

I warriors cominciano a deporre non solo gli scudi, ma anche armi ed armatura. Brani privi di mordente, linee vocali piatte come il mare d’inverno, cori zero, ed incredibili echi di vuoto dati dalle pressochè inesistenti sovraincisioni, non che io le ami particolarmente eh, però sotto un assolo magari sentire una ritmica a sostegno… . A tratti mi sono chiesta chi si sia occupato del mix, dal momento che alcuni suoni di poco si discostano da quelli midi.

Dai Manowar non posso e non voglio aspettarmi nulla di ricercato e raffinato a livello di songwriting, ma la classica tamarra rivisitazione delle arie Wagneriane si, perdiana! Che è sto basso-superzize-me oltre al solito, sta zanzara attaccata a un ampli cubotto e con il gain sotto i piedi? Ed Eric, che cosa fa, dopo anni di maschilismo all’ennesima potenza si mette infine a pettinare le bambole?

Credo di non avere la forza necessaria per lanciarmi in una track to track. Scusatemi.

Mostri sacri come i Manowar non dovrebbero trasformarsi in una premiata ditta sforna-prodotti a cadenza regolare. I fans vogliono la tamarrìa a cui si sono votati ergendo le braccia al cielo e stringendo il polso con un pugno. Abbiamo già a che fare con le leggi del mercato ogni giorno della nostra vita: lasciateci, almeno, il sogno della musica.

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