Che sarebbe stata una serata memorabile ne avevo avuto il sentore sin da quando un mesetto fa mi era arrivata la voce del loro arrivo in Italia. Ma siccome San Tommaso mi consiglia sempre di verificare con mano – e in questo caso orecchio -, a Trezzo mi ci sono fiondata con più che degni compagni di viaggio ed estimatori dell’uomo del Monte.
Il Live ha messo insieme un bel po po di bill per la serata del 10 Luglio, che nonostante fosse un martedì, ha fatto un pieno da chapeau! Ad ogni modo, non solo un headliner che parla – e canta – da sè, bensì alcune tra le band più in vista degli ultimi anni: sto parlando dei Whiteskull, forti del rientro in line-up della mitica e mai dimenticata Federica Sista De Boni,dei Clairvoyants, freschi freschi di Gozzommetal dove hanno tirato un botto allucinante, i Kingcrow, band di Romani natali dediti a un frizzantissimo rock di ordine progressive, e i MaxPie ad aprire, powermetallari from Belgium, il cui cantante mi ha fatto venire un infarto perchè pressochè identico a Nicholas Cage.
L’interpretazione e l’intenzione di Nicholas Cage è veramente ipnotica, il chitarrista salta come un antilope in amore senza compromettere il pulitissimo tocco, e il tiro delle song è di alto livello; sebbene non conoscessi manco mezzo pezzo dei loro, e salvo alcuni miei rapidi movimenti sottopalco per fare qualche fotina, sono rimasta coi piedini inchiodati al pavimento ad ascoltare. Non voglio farne una questione anagrafica, ma ‘sta band non è proprio di primo pelo, avranno superato quasi tutti più che ampiamente i 40. E la loro resa, di conseguenza. Thumbs up!
Ed ecco zompare sul palco i Kingcrow, e il cambiamento di sound si fa interessante: dal power di matrice classica dei MaxPie si passa a un prog ricercatissimo, variegato peggio che un gelato. Compatti come una mattonella di cotto, mi sbattono in faccia un muro sonoro che fa strabuzzare gli occhi per peculiarità e raffinatezza d’esecuzione, con un cantante che salta da tutte le parti e canta come un fringuello incazzato. Horns up!
Seguono i CLAIRVOYANTS,come dicevo poc’anzi freschi freschi di Gozz. La band, come tutti voi saprete, nasce come tributo agli Iron Maiden, e un bel giorno decide di scrivere pezzi propri. Laudato sia quel giorno. Forti di una più che nutrita legione di fans fidelizzati nel corso degli ultimi anni, in cui hanno suonato praticamente dappertutto, con la loro performance gli spettatori cominciano ad infervorarsi, le transenne cominciano a patire, e io da fotografa comincio a pigliare qualche cartone di fans infervorati, che slanciano e inneggiano con le braccia senza guardare dove cazzo le buttano. Ma va bhe. Anche questo è metal, hell yeah!
I Lumbard cedono poi il palco ai WHITE SKULL, rinnovati nella line-up con il ritorno dell’acclamatissima Sister e della sua indimenticabile voce! Senza nulla togliere a chi è venuto dopo di lei, vale a dire Gus Gabarrò e Elisa Over, senza la Sista i White Skull non erano più gli stessi. Oh, l’ho detto. E ora tiratemi pure i pomodori se non siete d’accordo. Evvai di legnata sonora! Le due chitarre mi hanno letteralmente pettinata, gradissima performance di Danilo Bar, che non riuscirò mai a capire come faccia a suonare in quel modo ed allo stesso tempo fare quelle facce lì. Chiudono con Asgard, e dopo qualche cartonazzo dalle prime file, decido di defilarmi nella zona d’ingresso fotografi. E che cavolo! Tornando alla band. Magnifici, non c’è che dire.
Ed eccoci qua. Il cambio palco è lievemente più lungo dei precedenti, e l’ingresso sul palco di un bel pianofortazzo bianco con relativa comoda seduta sollevano un boato che nemmeno alla finale di Champions League. Il che mi emoziona, è un segno che forse a questo paese resta ancora una speranza, e che di li a poco sarebbe arrivato l’Uomo del Monte. Avevo si e no 5 anni quando “Hall Of The Mountain King” veniva pubblicato. Ovviamente a quei tempi le mie massime sfere musicali erano limitate alle sigle dei cartoni animati e di David Bowie (santa la mia mamma!), ma se la mia memoria non fa come la molecola dell’acqua Lete, non trascorse molto tempo da che io e mia sorella ne rendessimo la musicassetta praticamente inascoltabile. Il tempo passa inesorabile, l’Uomo del Monte ha 52 anni di vita stravissuta alle spalle, tanti rotoli di morbidezza addosso, ma un volto sereno ed affabile. Apre bocca e bon, ci mette tutti a sedere. “Gutter Ballet”. Tiè. Rimango imbambolata, a metà pezzo mi ricordo che ci avrebbero concesso di fare fotografie solo durante le prime 3 canzoni, quindi riemergo dall’ipnosi e mi dò da fare. E’ la volta di “Edge Of Thorns”, un altro mezzo minuto di adorazione, e ripendo a scattare. I personaggi che calcano il palco mi inducono a una perenne confusione: prima Nicholas Cage, mò lo stilosissimo J. Jennings al basso, che sembra Iggy Pop con l’aggiunta di un cappello da pistolero gentiluomo, Joe Diaz – chitarrista ricciolone che a tratti mi sembra Ronnie James Dio. Ed ecco “Sirens”. “Don’t Talk To Me”, “Power Of The Night”, “Festival“, “Tonight he grins again“, “Walk upon the water“, “Ghost in the ruins“, “24 hours ago“, “Beyond the doors of the dark“, “Legions“, “Strange Wings“, “The price you pay“, “White witch“, “Devastation“, “Prelude to madness“, “Hall Of The Mountain King” e l’immancabile “Believe“, che il buon Jon è riuscito ad interpretare senza far scendere lacrima. Certo, le ha fatte sgorgare tutte a me, ‘sto zozzo!
Non tesserò le lodi delle doti vocali del buon Jon, che ha 52 anni ormai, ne ha fatte di cotte e di crude, e se è ancora qui su questa terra è solo perchè gode di una genetica quasi robotica. Personalmente io simpatizzo forte per tutti questi zietti che zompano sul palco con verve, intenzione e classe rinnovate negli anni, cresciute e maturate. E se le canzoni vengono eseguite anche 2 semitoni sotto, chissenefrega. E se parte una qualche semi-ragliata, egualmente chissenefrega. Questi signori ci hanno fatto da padri nella nostra crescita sentimental-musicale. Uso la parola “padre” non a caso. I nostri papà, quando sono giovani, ce pijano, ce portano al parco giochi, ci lanciano per aria, fanno cose che, grazie alla fisicità e al vigor fisico della gioventù, ci divertono. Ma quando poi invecchiano, e magari non riescono più a prenderci in spalla per ovvie leggi della fisica, noi non smettiamo di voler loro bene, anzi, oltre a condividere con loro altre cose, ci crogioliamo negli splendidi ricordi ed emozioni vissute insieme. Questo per dire che è stato un gran concerto, l’aria era intasata da un numero incommensurabile di endorfine secrete da tutti i presenti, e che se ritorna in Italia, io me lo vado a vedere di nuovo. Grazie a Jon, e a tutti coloro che sanno ancora farci sobbalzare il cuore con quell’arte nobile che è la musica.