Nintendocore. E’ così che hanno da sempre battezzato la propria proposta musicale gli Horse The Band, correndo il rischio di equivoco agli occhi di chi, giustamente, è portato a pensare all’ennesima inutile etichetta musicale da bio, utile solo a mascherare la ciofeca di turno. Invece no. Nonostante ogni facile e giustificata ironia, i cinque statunitensi attribuiscono al loro sound un appellativo, sì “audace”, ma quanto mai calzante ed azzeccato. Sin dal primo minuto di questo “A Natural Death”, infatti, l’ascoltatore si sentirà catapultato in un allegro gioco da console da primi anni ’90 in cui tutto sembra improvvisamente pervaso da crisi nevrotiche ed ossessive. Ancora dubbi? Ovvio e normale finchè non si saggeranno i primi assaggi di un disco in cui su una base di metalcore, sulla falsa riga dei copiatissimi D.E.P., viene infarcita una dose a dir poco massiccia di suoni sintetici ed artificiali (spesso riprodotti, guarda un po’, con un tool per l’editing di suoni da videogames). Il risultato è un sound dal sapore volutamente virtuale, letteralmente da videogame impazzito, in cui gli stilemi classici del metalcore vengono soffocati dalla vena esplosiva, incontrollata e folle dei cinque californiani. In sedici brani spesso si avrà la sensazione di essere di fronte ad un lavoro d’istinto, senza una regia nè razionale nè sensata ma, nonostante questo, alla band Ferret va riconosciuto il merito di risultare imprevedibilmente brillante e “di presa”.
Con coraggio e voglia di osare i ragazzi offrono al pubblico un disco non banale e sempre imprevedibile in cui gli attacchi all’arma bianca dell’hardcore, la pesantezza delle influenze metal, un lavoro vocale diviso tra un parlato “sudato” ed un acido scream e, soprattutto, l’iperbolico uso del synth formano un profilo coeso e piacevole. Oltraggioso, denso, cacofonico fino a sfidare la pazienza ma maledettamente inattaccabile in ogni suo tassello tanto da guadagnarsi una simpatia immediata. Per stomaci forti e senza puzza sotto il naso.

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