Crematory anno 2004. Dopo uno scoglimento, una reunion, lo stato “interessante” della tastierista che ha fatto slittare di non poco questo album, ecco che “Revolution” arriva alle nostre mani, gettando le sue basi su quello stile vagamente melodico e commerciale
che, nonostante abbia decretato lo scarso successo del precedente Believe, è stato messo a fuoco nella giusta dimensione, rendendolo uno dei punti di forza di questa nuova “creatura”.

Ben dodici i brani di questo disco, 11 se togliamo la prima, un introduzione di quasi 3 minuti, che lascia ben sperare il resto del disco. Il ruolo di opener spetta a “Wake Up”, un risveglio di una band che nonostante lo split sembra aver trovato un nuovo vigore.Riff quadrato, pesante al punto giusto, ritornello catchy, lo stile Crematory è tornato al suo massimo splendore. Stesso discorso per Greed, utilizzata anche come singolo dell’album e videoclip, che segue la linea della precedente in un mood piu tastieristico e gotico. Discorso a parte per le due tracce seguenti: “Reign Of Fear” e “Open Your Eyes” nonostante ricalchino lo stile metallico dei nostri, sono pervase da basi elettroniche al limite dell’EBM, soprattutto inizio e ritornello, facendone (soprattutto la seconda) degli ottimi apripista per un mercato mainstream, quasi sempre toccato ma mai raggiunto appieno dalla band, soprattutto in terra germanica. Segue “Tick Tack” ennessimo pezzo di maniera del combo, in cui nella sua classica struttura strofa-ritornello-strofa trova qualche spazio per sperimentalismi elettronici (non a livello delle due precedenti comunque). Si torna invece in zona piu strettamente gothic-metal con “Angel Of Fate”,”Solitary Psycho” e la title-track “Revolution”, tutti e tre ottimi pezzi, che non faranno rimpiangere chi si lamenta di album corti e monotoni. Il registro cambia ancora, con una “Human Blood” dalla doppia cassa furiosa, nonostante il break centrale che ricorda vagamente quella “Tears Of Time” che fu. Con “Red Sky” si torna su lidi sperimentali invece, con un riff iniziale che ricorda vagamente “Sabbath Bloody Sabbath” (si, proprio quella), alternato a loop elettronici e ritornello catchy come solito. Chiude l’album la “solita” ballata acustica, di piano e voce, in cui fa capolino una chitarra solista di sottofondo sulla chiusura.

Senza dubbio un disco che farà parlare di se, che nonostante le malignità (alcune fondate, purtroppo) di certe reunion, spero faccia dissipare ogni dubbio sulla volontà di una band di tornare per portarci nuova musica, e non speculare sui nostri portafogli. I Crematory tornano con un discone, che chi li ha seguiti non può non avere, e chi non li ha mai sentiti, beh, è un buon motivo per scoprirli.

A proposito dell'autore

Post correlati