Trovarmi di fronte ad un gruppo come i Bullethole mi mette in enorme difficoltà. Se la mia devozione totale per il thrash-core mi indurrebbe a consigliare l’acquisto di “Incarceration” a scatola chiusa, l’oggettiva carenza di originalità del prodotto mi costringe a rivedere in maniera drastica la mia posizione.
Se i Sepultura non fossero mai esistiti, i Bullethole sarebbero dei geni. Il feeling terremotante di “Arise”, quella meravigliosa tensione che sfociava in un collasso nervoso universale, resuscita con convinzione e ferocia tra i microsolchi di “Incarceration”. Qualche sporadica incursione nella rilettura furiosa e iconoclasta dei Machine Head e il gioco è fatto. Dalla sua il trio greco (!) ci mette una perizia tecnica più che discreta, una scrittura nervosa e fiaccante e una rabbia del tutto spontanea.
La qualità dei pezzi è omogenea, con qualche picco (la devastante “Incarceration”), qualche caduta di stile (l’imperdonabile plagio Slipknot di “Now I Know”) e un doveroso tributo ai Maestri Brasiliani (“Molestias”, posta in coda, strumentale acustico dal sapore tribale e ascetico).

La questione si fa (relativamente…) seria quando in ballo ci sono soldi da spendere. Qualche sparuto cultore del thrash più ortodosso (sottoscritto incluso) potrebbe trovare in “Incarceration” un valido passatempo, ma per tutti gli altri sarebbe davvero dura individuare spunti interessanti in un lavoro del tutto derivativo. L’annosa questione del “nessuno inventa nulla dei tempi dei Led Zeppelin” è temporaneamente archiviata: mai come in questo caso, fate vobis.

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