Le tanto osannate reunion, si sa, dopo anni e anni di attese quasi sempre deludono. “Tempo Of The Damned”, il devastante comeback tanto atteso della band di San Francisco, arrivato ben dodici anni dopo il deludente “Force Of Habit”, è stato invece capace di creare “un ideale ponte con il loro grande passato” e di regalarci quelle emozioni che solo i capolavori degli anni 80 del genere erano stati in grado di elargire, terminando a fine anno tra le migliori uscite discografiche non soltanto per chi scrive.
Un anno dopo gli Exodus si ripresentano a noi con un nuovo lavoro e, vista la separazione con tre mostri sacri come Rick Hunolt, Tom Hunting e Steve Souza, con gli stessi dubbi e le stesse incertezze che precedevano “Tempo Of The Damned”.

Francamente quindi non mi aspettavo niente di sconvolgente invece….

Innanzitutto parliamo dei nuovi arrivi. Paul Bostaph alle pelli non merita certo presentazioni e se, nonostante il curriculum, pensate lo stesso che sia difficile sostituire un batterista così particolare come Hunting vi ricrederete tranquillamente. Lee Altus dei riformati Heathen ha partecipato purtroppo solo in fase solistica (a parte “Karma’s Messenger” e “Shudder To Think” che sono ad appannaggio totale di Holt) ma il suo contributo si rivela, neanche ce ne fosse bisogno dirlo, estremamente convincente. Lo sconosciuto Rob Dukes al microfono….beh, che dire? Penso che scelta migliore il buon Gary non potesse farla, e se è impossibile sostituire nella nostra memoria personaggi ed ugole inimitabili come Souza e Baloff è altresì arduo restare indifferenti ad una prestazione così velenosa, incazzata e tanto “dentro” la musica degli Exodus.

Per quanto riguarda i brani paradossalmente non c’è molto da dire se non che riprendono esattamente il discorso interrotto col precedente album, in parte forse leggermente esasperandolo: riff cattivissimi e mozzafiato, più taglienti di un rasoio e più sconvolgenti di un inaspettato pugno allo stomaco che proclamano senza timore di smentita Holt come il riff-maker thrash per antonomasia, ritmiche di una potenza e di una malvagità a dir poco deflagranti, assoli spettacolari, da sempre insieme al riffing uno dei trademark del gruppo, ed una rabbia ed una furia omicida che la bella copertina possono solo vagamente lasciare intuire. L’iniziale “Raze”, “Now Thy Death Day Has Come”, l’incredibile “Karma’s Messenger”, la title track, “Going Going Gone”, “44 Magnum Opus”… c’è davvero solo l’imbarazzo della scelta per provarvi le mie affermazioni.

Registrato sotto la già provata guida di Andy Sneap in solo tre settimane “Shovel Headed Kill Machine” risente forse di un eccessivo “impatto live” che conferisce al disco una cattiveria ed un’aggressione sonora che ancor più di “Tempo Of The Damned” sono sicuro metterà d’accordo tutti, sia i thrashers intransigenti di vecchia data non sempre propensi a rinverdire la loro discoteca con nuovi inserti sia i nuovi adepti delle sonorità più moderne e tipicamente nordiche. Pestando forse eccessivamente il piede sull’acceleratore (gli unici mid tempo sono le squassanti “Shudder To Think” e “Altered Boy” e alla lunga ciò potrebbe ostacolare i meno avvezzi) gli Exodus hanno sfornato un disco assolutamente devastante, un altro tassello imperdibile della loro incredibile storia, un must assoluto per ogni thrasher che si rispetti, probabilmente il disco thrash dell’anno.

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