Decisamente interessante questa ristampa della Peaceville, che mette insieme i due ep degli Anathema (il primo porta addirittura la parola “ep” nel titolo, il secondo dura piu’ di 41 minuti, ma spesso si e’ parlato di lui come di un ep), dandoci un buon compendio degli Anathema del primo periodo. Nella prima meta’ dei ’90 il gruppo muoveva infatti i primi passi, la band era guidata da Darren White (e non dal sodalizio Danny Cavanagh/Duncan Patterson che portera’ ad incredibili risultati) e la musica proposta era un doom metal inizialmente ispirato alla scena doom di quel periodo, poi sempre piu’ personale (e il fatto che a voler esplorare questa strada fosse Darren lo si capisce anche sentendo i suoi lavori dopo la fuoriuscita dalla band, che praticamente continuano il discorso iniziato con “Pentecost III”, mentre gli Anathema sublimeranno il loro periodo doom in quel capolavoro che e’ “The Silent Enigma”, per poi dirigersi verso altri lidi musicali). Ma andiamo con ordine…

“The Crestfallen EP”, uscito nel 1992, e’ il debutto degli Anathema dopo alcuni demo e delle piccole (e rare) release da pochi brani. La band e’ ancora molto immatura, il sound e’ acerbo, tuttavia non manca qualche particolare interessante che testimonia quanto gia’ la band cercasse una via personale. Il doom che questo ep ci propone e’ infatti lento e sfibrante, la voce e’ un growl molto duro (sebbene con un certo retrogusto di tristezza) e rende il ritmo ancora piu’ lento e “trascinato”, tuttavia ogni tanto fa la sua comparsa una voce pulita e “desolata” molto personale (che verra’ poi ripresa su “Pentecost III”), per non parlare di certe “aperture acustiche” che sporadicamente fanno la loro comparsa.
Difficile dissertare di un brano in particolare, visto che bene o male tutte le tracce che compongono il lavoro seguono le coordinate descritte, tuttavia e’ curioso il fatto che “Everwake” (la traccia 3, perfettamente centrale in un disco composto da 5 pezzi) sia completamente diversa dal resto del lavoro… trattasi infatti di un brano dolce e malinconico, costituito esclusivamente da una chitarra acustica e da una voce femminile. Il brano e’ decisamente riuscito e mostra quanto gli Anathema gia’ allora non volessero percorrere le strade del doom gia’ battute da altri senza mostrare la loro personalita’. Il debutto della band comunque non e’ certo un disco imperdibile, ma e’ utilissimo per capire le loro origini ed e’ caldamente consigliato agli appassionati degli Anathema.

Passiamo ora a Pentecost III… Uscito nel 1994 dopo “Serenades” (l’album successivo a “The Crestfallen EP”, che sviluppava il doom “cattivo” di quel disco arricchendolo con un suono piu’ “fratturato” ed ancora piu’ eclettico, contenendo un pezzo alla Sisters of Mercy, un lungo brano ambient ed un pezzo fortemente folk cantato da una voce femminile) e’ l’ultimo lavoro con Darren White alla voce e alla guida della band.
Il doom proposto e’ ormai decisamente cambiato, la voce ha perso tutta la sua rabbia ed e’ diventata una specie di lamento desolato e desolante, gli arpeggi acustici sono importantissimi e la violenza ha lasciato spazio ad atmosfere intimiste e depressive. L’opener “My Kingdom” e’ un capolavoro, 9 minuti e mezzo di poesia dominati da arpeggi acustici e dai lamenti di Darren, dove gli strumenti esplodono alla fine rimanendo pero’ “addolorati” e non violenti. Un “paesaggio sonico” che descrive la tristezza ed il dolore di un amore tradito, semplicemente indescrivibile (forse il capolavoro degli Anathema con Darren in formazione)…
Piu’ breve e piu’ energico il successivo “Mine is yours to drown in”, brano cadenzato e riuscito nel suo inserire chitarre acustiche e passaggi “inquietanti” in mezzo al fragore doom generale, la cui pecca principale e’ quella di venire dopo un capolavoro quale “My kingdom”.
“We, the gods” e’ forse il testamento di Darren White con gli Anathema, composto come e’ da tutte le caratteristiche tipiche dell’artista: tematiche “pagane”, quasi dieci minuti di durata, basso pulsante in primo piano, chitarre sognanti e “piangenti”, atmosfere malinconiche ed epiche allo stesso tempo arricchite da repentini scatti di rabbia, immagine della voglia di riprendersi, di rialzare la testa e di andare avanti…
La title track e’ un brano strumentale molto atmosferico ed un po’ inquietante ed infine c’e’ la lunghissima “Memento mori”. Questo brano e’ la rielaborazione di una vecchia composizione incisa su un demo, come e’ evidente dai passaggi in growl e dalla violenza generale del pezzo, ed e’ anche molto meno intrigante di quanto sentito finora, personalmente per me il disco finisce prima di questo brano… Per essere precisi c’e’ anche da citare una ghost track con una piccola intro con cavalli che corrono e un uomo che urla “horses” (questo stacchetto, tra l’altro, e’ stato inserito nella raccolta “Resonance 1” sotto il nome di “Horses”, non fatevi ingannare come e’ successo a molti, che leggendo la tracklist di quel cd credevano di trovarsi di fronte ad un inedito per poi scoprire che era questa cosina qua!!!) e con “666”, la seconda parte di un brano pubblicato su una rara release di due pezzi uscita prima di “Pentecost III”, nulla comunque viene aggiunto o tolto al valore del disco con questa piccola appendice nascosta.
Che altro dire ? “Pentecost III” risulta imperdibile per un fan degli Anathema ed e’ caldamente consigliato a tutti coloro che non disdegnano atmosfere tristi ed epiche insieme, malinconiche e grandiose allo stesso tempo. Considerando poi che oltre a “Pentecost III” vi portate a casa anche l’ep di debutto direi che l’acquisto di questo disco e’ un affare che non bisognerebbe lasciarsi scappare…

Sauro Bartolucci

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