Né più, né meno di quanto, esattamente, ci si aspettava da una band come gli Unleashed. I nostri non sono mai stati abituati, per volontà ed inclinazione stilistica, a sorprendere e non ci si poteva di certo attendere la svolta all’alba del nono album di una carriera costellata dall’iperbolica coerenza con il proprio credo.

E allora, dopo ‘Midvinterblot’, arriva un altro disco che, con la solita genuina ferocia, insegue e persegue i punti fissi del sound caratterizzante la band svedese. Death di estrazione svedese che, sporco e senza attenzione per i galatei musicali, incalza l’ascoltatore dal primo all’ultimo secondo. La voce grezza e rude di Johnny Hedlund fa come al solito il suo dovere sul tappeto sonoro costruito dalle due chitarre, come sempre fulcro dell’opera dei quattro scandinavi. Il risultato sono, come previsto, tredici brani (troppi?) che aggrediscono senza mezzi termini l’ascoltatore senza riflessioni, né break per riprendere fiato. Le uniche variazioni sul tema sono costituite dalle tradizionali appendici che, scavando nel background ispirativo di questi musicisti, vanno come al solito a toccare spesso lidi vicini al thrash e ad un certo black svedese. I tempi fossilizzati sulle stesse soluzioni ed una durata sinceramente eccessiva in rapporto alla varietà di contenuti offerta incrinano la qualità di un disco concepito e messo al mondo per un pubblico che già sa a memoria cosa aspettarsi. Tutti gli altri sono avvisati. Le twin guitars, le accelerazioni fulminee ed apparentemente avventate, la produzione perfettamente unta sono lì per non tradire le aspettative dei fan e di un pubblico orientato al “raw a tutti i costi”: prendere o lasciare.

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