Chi nel mondo del metal moderno può vantare un simile curriculum? Cantante di Judas Priest, Iced Earth, Beyond Fear,sua maestà guitar Hero Malmsteen e via discorrendo? Credo nessuno. e non si arriva a cantare con simili calibri se non si ha qualcosa in più rispetto a tutti (o almeno a molti) altri cantanti presenti sulla piazza. Cosa caratterizza il buon “Ripper”? Bè, una voce certamente potente, alta e particolare, che ricorda quella del Metal God Rob Halford, e un carisma incredibile, oltre a tanta dedizione al proprio lavoro che lo rende iperattivo e sempre impegnatissimo nel modo della musica.
Oggi giunge nei negozi di dischi il primo album che riporta la sua fima in tutto e per tutto a partire dal nome in copertina: Tim Ripper Owens, ovviamente. Primo album da solista per il nostro, che si appoggia ad una valanga (davvero) di grandi nomi del mondo rock e metal, da Doug Aldrich a Chris Caffery, da Rudy Sarzo a Steve Stevens, a Billy Sheehan, Jeff Loomis e tanti tanti altri, per costruire un piatto musicale su cui far esplodere la sua ugola dorata.
E qui penso di aver già detto la caratteristica principale del’album: Play My Game è un cd costruito soprattutto per mettere in risalto il personaggio e la personalità del singer, che a dire la verità ci dà dentro e non risparmia nemmeno una goccia di sudore.
Puro Heavy Metal anni ’80, con influenze nette dei Judas Priest di cui oltre ad essere stato il cantante nell’era pre-ritorno di Halford è anche da sempre fans viscerale, ma anche Black Sabbath.
La musica è assolutamente quadrata e molto pesante, con ritmi mai forsennati ma decisi e cattivi. Purtroppo la schiera dei super ospiti non si ritaglia lo spazio che meriterebbe a favore del singer, che diventa il reale e unico protagonista dell’album, se si eccettuano alcuni sprazzi chitarristici (“It Is Me” – “The Cover Up”). Punti di forza? Immediatezza e ritornelli facili. Difficile individuare un brano che spicca sugli altri, anche se l’opener e title track “Play My Game” sembra fatta per i concerti live che il nostro Tim si appresta a intraprendere in questa estate torrida, la già citata “It Is Me” e “No Good Goodbyes”, in cui per tonalità e modalità di cantato oltre che per suoni di chitarra e batteria si potrebbe pensare ai primi Guns’n’Roses.
Conclusione? Un voto buono non è in discussione, anche se la presenza di un cantante che ammiro da sempre e di un simile parterre di guest ci si poteva aspettare di più. Il punteggio pieno è alla portata del grande Ripper, specie se saprà mettere da parte un po’ di suo ego e di protagonismo per occuparsi un po’ più dei riff e della musica, qui troppo spesso in secondo piano.

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