Uno dei pochi gruppi (anche se quando si parla di loro ci si riferisce molte volte solo al frontman e principale ideatore Hoest e si usa in alcuni casi il termine “one man band”), che ancora hanno senso di esistere in un panorama musicale come quello del black metal, ormai saturo, spremuto e sfruttato al massimo delle possibilità, divenuto nella maggior parte dei casi una parodia di sé stesso. Band che fanno di questo genere un semplice specchietto per le allodole per attirarsi tutte le attenzioni del caso, che suonano una musica senza nemmeno sapere i motivi e le ragioni per la quale e nata, prima di tutto come modo di vivere e pensare che come semplice insieme di note.
Hoest invece no, la sua coerenza e il suo rifiuto per il mondo esterno sono quanto di più genuino possiate trovare in giro. Il singer non si è di certo fatto mancare il fatto di attirare una miriade di polemiche su di sé, specialmente per quanto riguarda le performance dal vivo, pregne di malignità ma soprattutto di efferatezze varie. Ultima, ma non meno importante, quella di presentarsi sul palco con una svastica dipinta sul petto, che ha scatenato ovviamente un effetto boomerang sulla band che è stata accusata di nazismo, antisemitismo e chi più ne ha più ne metta. Certo, la si può pensare come si vuole, fatto sta che la “giustificazione” al suo gesto Hoest l’ha data spiegando che il suo non era altro che un gesto per personificare il male, visto che il nazismo è quanto di più terribile ci sia stato nella storia, e “limitarsi” a parlare di satanismi vari, morti squartati et similia è diventato ormai abitudine e di moda.
Non ho ancora parlato dell’aspetto musicale per il semplice fatto che i Taake si sono sempre fatti notare più per queste cose che per altro, anche se la loro integrità artistica non è mai stata in discussione. Anzi, le loro prove in studio sono tra i migliori prodotti che la scena norvegese abbia mai partorito. Specialmente la trilogia precedente a questo nuovo e omonimo album, tre full-length che hanno rappresentato il picco compositivo del combo. Ci si aspettava quindi una conferma dal nuovo parto discografico, conferma che c’è stata sì, pur con qualche punto a sfavore in più rispetto al passato.
Taake è un bellissimo disco, molto old-school sia nella produzione che nei suoni, come ci si aspetta sempre da prodotti di questo tipo. Le differenze rispetto alle uscite precedenti sono due, una positiva e l’altra più negativa. Non si può non notare come facciano capolino in alcuni frangenti delle sonorità più rock oriented, un po’ simili a quanto proposto ultimamente sia dai Darkthrone che dai Satyricon. La capacità di amalgamare elementi che apparentemente non dovrebbero avere alcun punto d’incontro è segno di grande maturità compositiva. E la riscoperta delle radici del black metal, con la riproposizione di partiture prettamente più ottantiane, che sta caratterizzando marcatamente un po’ tutte le ultime composizioni dei gruppi storici, è lodevole e dona ancor più significato alla musica. Se quindi questi spesso sono degli appigli dove aggrapparsi per trovare delle critiche, ritengo invece che non siano altro che segno di una naturale evoluzione del black, che contribuisce, come nel caso deii Taake, a donare nuova enfasi e vitalità al tutto, chiudendo un cerchio aperto molti anni fa.
Se questo a mio parere è il vantaggio, non si può negare che i nostri non siano riusciti a raggiungere in fatto di qualità le vette toccate negli anni passati. Non si parla certo di un brutto album, ci mancherebbe, stiamo pur sempre parlando di uno dei gruppi più importanti che non ha praticamente mai sbagliato un colpo, sono presenti le classiche sfuriate velocissime e anche le atmosfere tipiche del loro sound, oppressive come sempre. Ma non si discute nemmeno la grandeur di tre vere e proprie bombe quali sono state le tre pubblicazioni antecedenti.
Un bell’ascolto dunque, non proprio così perfetto come ci si aspettava, ma comunque degno di entrare a far parte della lista delle migliori uscite in ambito black metal dell’anno. Promossi!

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