Esistono fondamentalmente due chiavi di lettura per interpretare “SYL”: la prima è quella di rapportarlo a “City”, la seconda di decontestualizzarlo da ogni scomoda parentela con episodi più o meno rappresentativi di un certo modo di fare musica e con personaggi universalmente riconosciuti come tra i più innovativi della scena metal (e non). Nel primo caso il terzo disco degli Strapping Young Lad perderebbe di fascino, innovazione e impatto, nel secondo brillerebbe di luce propria come un devastante monolito di post-thrash e metallo d’avanguardia. In un momento avulso, confuso e scevro di uscite interessanti come quello che viviamo forse è il caso di considerare la seconda chiave di lettura. Quanto meno, io preferisco comportarmi così, rischierei di perdermi della musica degna di essere “subita”.
“City” è stato un episodio che non si ripeterà, inutile girarci attorno. Devin Townsend aveva lasciato confluire, in quello splendido esercizio di autocoscienza, tutto il suo lamento interiore, il suo ego frammentato dai dogmi immarcescibili della metropoli: ne risultava un disco costruito su livelli, come le città del futuro dei romanzi di Gibson, dove nel sottosuolo abitano i reietti, gli psicotici, gli stupratori, e man mano che si sale la società migliora e lo scenario si fa più scintillante e rifinito, ma non per questo meno contaminato. La forma di comunicazione adoperata dal musicista canadese era un thrash destrutturato dalla violenza e dalla tensione emotiva insostenibili. Uno dei dischi più importanti degli anni ’90, per farla breve.
“SYL” ha molti punti di contatto con il suo illustre predecessore, ma vive in un mondo totalmente diverso, per tipo di approccio, di esecuzione e di pretese.
Anzitutto le immagini che evoca: non più discese negli inferi circolari di un domani dove regnano paura e dolore, ma scenari di guerra e morte. Non a caso sembra che l’11/9 sia stata la maggiore fonte di ispirazione per Townsend nel comporre questo disco.
Brani sempre iperviolenti, tirati fino al collasso, dove tutto il metal estremo viene mescolato per creare una forma viscerale di thrash che attinge tanto dal clangore furente dei Meshuggah che dall’insensata velocità del black primordiale.
I riff sconquassanti di Jed James e Devin Townsend, il drumming di Gene Hoglan (di una perizia tecnica e di una potenza ormai difficilmente perfettibili), le linee di basso di Byron Stroud, che sembrano eseguite da un ricettatore cyberpunk in crisi di astinenza da anfetamine.
Poi le liriche e le interpretazioni di Devin, sempre ficcanti, coinvolgenti, insensate, ma anche volte a spezzare la corsa del treno impazzito nel tunnel degli orrori con melodie oblique e dissacranti.
Dal proto-black di “Devour” e “Dirt Pride” alla marcia cingolante di “Bring On The Young”, “SYL” riesce senza possibilità di appello ad annichilire l’ascoltatore con un parossismo irresistibile.
Che poi non abbia l’impatto o la profondità di “City” è quasi inevitabile, ma quando si è immersi in un tale maelstrom di violenza e devastazione, è ancora così importante?

Vincenzo “Third Eye” Vaccarella

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