Ci sono quei gruppi, “grandi” o “piccoli” che siano, che sai quasi a priori che non ti deluderanno. Per il sottoscritto uno di questi sono i Sacred Steel, probabilmente non conosciutissimi ai più, ma ormai da anni portabandiera indiscussi del metallo più becero e intransigente.
“The Bloodshed Summoning” è l’ottavo album in studio dei Sacred Steel (se si esclude il disco di cover “Pounding Inferno”). Rispetto al precedente “Carnage Victory”, che toccava diverse facce del metal, questo “The Bloodshed Summoning” si presenta come un disco più d’impatto e decisamente aggressivo. I Sacred Steel, pur non rinunciando alla loro matrice classica, sembrano aver puntato più sull’aggressività, ai limiti del thrash, come dimostra fin da subito la coppia d’apertura Storm Of Fire 1916 e No God / No Religion. Brani tritaossa con una ritmica indiavolata e delle vocals pulite ma assolutamente feroci.
Con When The Siren Calls si rimane pressappoco su le stesse coordinate anche se il coro è decisamente accattivante e mette in rilievo anche l’anima melodica del gruppo (per i propri standard, ovviamente) grazie alla parte vocale alquanto cantabile. The Darkness Of Angels è invece un pezzo evil con delle azzeccate backing vocals che esaltano ancora di più la vena “sadica” del brano.
Il pregio maggiore dei Sacred Steel, al di là delle loro scelte stilistiche (ma sarebbe meglio parlare di sfumature), è quello di scrivere brani che funzionano. L’ascolto non risulta mai appesantito. E dopo l’assalto frontale delle prime tracce di “The Bloodshed Summoning”, si arriva alla title-track, song che cambia leggermente tiro, ma non atmosfera, visto che trattasi di un brano piuttosto cadenzato, che parte arpeggiato, ma al contempo permeato di un’aura nera. Ossessivo nel ritornello e decisamente maligno.
Under The Banner Of Blasphemy ci riporta nuovamente su lidi cazzutissimi e aggressivi così come la successiva Black Towers, benché dotata di un coro più cadenzato ed evocativo.
L’album si conclude con dei pezzi più doomy ed epici come Crypts Of The Fallen e Journey Into Purgatory. La prima inizia in maniera tipicamente doom con un poderoso riff che spezza la parte sofferta per poi sfociare nelle strofe più aggressive. Nel ritornello si rallenta nuovamente creando un effetto ipnotico. Journey Into Purgatory è il brano più lungo dell’album e alterna momenti di epico metallo a parti più doom, sicuramente uno degli highlight del disco. La voce di Mutz torna a interpretare il brano con cantati rabbiosi in contrapposizione a quelli più evocativi.
La versione CD dell’album contiene tre bonustrack (non presenti sul vinile) che non aggiungono nulla a quanto già presente nel disco. Da segnalare la cover dei Misfits, almeno per il sottoscritto, inaspettata.
I Sacred Steel questa volta hanno deciso di picchiare duro e di puntare di più sulla rabbia e sull’impatto delle canzoni. Il risultato cambia poco: “The Bloodshed Summoning” si conferma un disco assolutamente buono ed onesto. Ancora una volta pollice alto.

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