“Promised Land” e’ considerato da molti fan il miglior album dei Queensryche (non da me pero’, io preferisco Operation: Mindcrime) ed e’ innegabilmente uno dei dischi piu’ importanti degli anni ’90.
Uscito quattro anni dopo “Empire”, che aveva venduto tantissimo ed era stato un successo mainstream, Promised Land e’ un album di difficile assimilazione (anche se puo’ sembrare easy-listening) e molto vario. Spessissimo i ‘ryche sono catalogati nel prog, a mio avviso sbagliando, ma forse questo album e’ l’unico al quale si puo’ affibbiare tale etichetta, tenendo pero’ conto che PL e’ molto di piu’… In questo disco ci sono tante di quelle cose che ci vorrebbero pagine e pagine per parlare di tutto (e non basterebbero)…
Ma cominciamo questa piccola analisi. Il disco e’ estremamente intimista e cerebrale, e questo si riflette anche nel suono (che pero’ non e’ affatto freddo come rischierebbe di essere), inoltre i testi sono bellissimi, forse i migliori dei ‘ryche, ed esaminano la vita dell’uomo, il suo senso, la societa’, la ricerca di un senso pre e post morte… il tutto e’ pero’ cosi’ vario che e’ d’obbligo un esame track by track.
L’apertura “9:28 a.m.” e’ l’introduzione che tramite alcuni effetti sonori ci immette al ciclo morte/vita, facendoci passare nel giro di pochissimo tempo da una vita che si spegne al pianto di un bambino appena nato… pianto che apre “I Am I”, pezzo stranissimo ed affascinante che non segue la classica “forma canzone”. Tate ci canta di una vita che arriva, di uno spirito che dice “io sono io” confrontandosi con l’esterno, mentre gli strumenti lo accompagnano con delle parti strane e “trascendenti”, condite da atmosfere orientaleggianti (e, notate la finezza, sembra che la forma di vita umana sia apparsa in queste zone del mondo…). Ad un certo punto pero’ qualcosa si inceppa, e ci ritroviamo in “Damaged”. Questo e’ il pezzo piu’ duro dell’album, una mazzata musicale dove il basso martella il cervello (proprio mentre Tate canta di una persona che si pianta un chiodo in testa…) e delle chitarre “schizzate” sottolineano il testo, un trattato sulla follia che alberga nella mente di ognuno… poi di colpo le atmosfere diventano piu’ rallentate e “raffinate” e la delicata “Out of mind” si impadronisce della scena. Emozionali chitarre acustiche accompagnano la voce di Tate, che ci parla di persone abbandonate in ospizi o manicomi… chi guarda la bambina con lo sguardo perso nel vuoto, con chi parla? E quell’anziano che e’ abbandonato e che e’ stato chiuso in qualche posto e dimenticato?
E poi avviene il ribaltamento… gia’,perche’ “Bridge”, una ballata acustica disperata, e’ la storia di un figlio che si rivolge al padre dicendogli che non lo ha cresciuto con amore, e il loro rapporto e’ ormai irrecuperabile, poiche’ non si puo’ riparare un ponte che non e’ mai stato costruito… Ma allora non c’e’ speranza? I rapporti umani sono sbagliati da tutti i punti di vista?
La title track ci dice qualcosa di piu’… Non parlero’ della parte musicale di questa canzone, assolutamente bellissima, poiche’ mi voglio concentrare sul testo… la terra promessa puo’ essere tutto, ma i ‘ryche ci fanno capire che loro intendono parlarci del “senso della vita” (anche se indubbiamente nel titolo del cd c’e’ anche un riferimento al successo raggiunto col precedente disco…). Peccato che questa terra promessa sia deludente, e ci si ritrova come ubriachi in un bar, chiedendo un altro bicchiere ad un barista che non puo’ essere nessun altro se non Dio… Poi un uomo esce dal bar e porta del cibo ai gabbiani. Questa lunga sequenza chiude “Promised Land” con un senso di pace che viene pero’ corroso da dei rumori “urbani” che crescono fino a dominare la scena, lasciandoci preda di un profondo straniamento.
Inizia così “Disconnected”, un pezzo che e’ “schizofrenico” a dir poco… e’ impossibile descriverlo, ma sappiate che e’ lo smarrimento dell’uomo nella societa’ odierna fatto musica… Quindi uno stacco ed inizia “Lady Jane”. Questa canzone e’ considerata da tantissimi una delle migliori composizioni dei ‘ryche, io pero’ non sono mai riuscito ad “entrarci dentro” del tutto. E’ uno struggente brano interpretato in maniera molto sentita da Tate, purtroppo pero’ non sono la persona piu’ adatta per parlarne (ho ascoltato questo disco innumerevoli volte e, come potete vedere, ancora non ho “toccato il fondo”, tanto per darvi l’idea di quanto questo album sia profondo…).
Ci avviciniamo cosi’ alla fine e “My global mind” e’ una critica alla societa’ odierna, dove una piccola parte di persone vive sulla spalle di tutti gli altri che soffrono, e la musica da’ una sensazione “moderno/contemporanea” difficile da spiegare, ma e’ il perfetto complemento al testo… E poi “One more time” irrompe… parti piu’ rilassate si alternano a parte piu’ nervose, l’uomo usa tutta la sua vita per arricchirsi, sembrare giovane, e poi di fronte alla morte si sente vuoto e chiede solo un po’ di tempo in piu’… Arrivando cosi’ alla conclusiva “Someone else ?”, una delle mie canzoni preferite in assoluto… Un pianoforte accompagna la voce di Tate, che con una interpretazione toccantissima ci parla di come, guardandoci indietro, si faccia fatica a riconoscere noi stessi… siamo sicuri che quelli siamo proprio noi, e non qualcun altro? E poi, ogni tanto, la consapevolezza arriva e si riconoscono i cambiamenti in noi, ma solo per poco… e guardando dal bivio pensiamo “quello e’ qualcun altro… io ?”.
Cosi’ si chiude il disco, in maniera ciclica come dimostra anche il gioco di parole tra i titoli della prima e dell’ultima canzone: “I am i someone else ?” (traducibile in italiano all’incirca con “io sono io qualcun altro ?” che afferma e nega contemporaneamente l’identita’ propria…).

Come si puo’ intuire da tutte queste righe “Promised Land” e’ veramente immenso (e se pensate “ma tu preferisci Operation:Mindcrime” e’ semplicemente perche’ quel disco e’ fuori da ogni scala…), e quello di cui ho parlato e’ solo una parte del tutto (nonche’ solo uno dei tanti livelli di lettura)…
Pensate ai ‘ryche che ci hanno stupito ad ogni disco, meravigliandoci con tutte le loro evoluzioni rimanendo pero’ sempre loro (qua per esempio si recuperano certe sperimentazioni che erano state tipiche di “Rage for Order”, ma che in Promised Land raggiungono una nuova dimensione) e regalandoci grandissimi dischi… pensateci e fate vostro questo disco, non potra’ farvi altro che bene…

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