Devon Graves, strano personaggio. Prima fa parte di una delle band prog metal piu strane che mi sia mai capitato di sentire (per inciso, gli Psychotic Waltz), poi esce con questa nuova (nuova, si fa per dire) e partecipa pure all’ultimo Ayreon (The Human Equation, per intenderci).
Ora, instancabile, sforna questa ultima fatica targata Dead Soul Tribe. Forse sarà il peso degli impegni, ma devo dire che non ha centrato il colpo al 100%. Il disco si apre con “Spiders And Flies”, opener mozzafiato, che dovrebbe riservare ottime sorprese per tutto il resto dell’album, e invece purtroppo non è così. Se la opener ci riservava uno splendido groove e atmosfere molto care a certi Tool piu progressivi, gia la seconda “Sirens” cade un po nel banale. Il riff iniziale sembra predisporre un gran pezzo, ma si trasforma subito in una caduta di tono, un po’ monotona.
“The love of hate” gia’ si presenta meglio. Un buon chorus, un riff efficace, e la voce di Devon, sempre splendida (il motore trascinante dell’album, dopotutto). Quarto pezzo per “Why”, pezzo che sembra estratto pari pari da “Lateralus” dei Tool, non tanto per composizione, quanto per la vicinanza alle sue atmosfere. Carino. “The coldest day of winter” finalmente cambia un po’ le regole del gioco. Il brano è molto piu progressive e la differenza si sente. Un bell’arpeggio iniziale (sebbene chiuso da una distorsione), introduce il brano riflessivo del disco, in cui Graves si trova veramente a suo agio nel canto, nei passaggi molto melodici ed acustici, e a tratti corali.
Torna invece l’heavy per “Wings Of Faith”, con qualche pregevole inserto elettronico, che non guasta, anche se con i suoi ritmi leggermente sostenuti diventa monotona dopo quasi un minuto.
“Toy Rockets” altro pezzo particolare, per la sua intro di flauto, decisamente buona e inserita con gusto. Il brano invece si snoda su qualche riff circolare, un po di controtempi e un buon chorus melodico, ma nulla piu. Dopo tutto questo chiedersi “dov’è finito il genio compositivo?” ecco che “Waiting For An Answer” forse ci può dare una risposta: si è appisolato. Forse questo è il brano piu monocorde dell’intero full-lenght, tra i suoi ritmi quasi tribali, sospesi a metà tra il prog, qualche sferzata groove, che richiama a tratti persino i Pantera, ma che mescolato tutto assieme non lascia proprio il segno. Come detto in precedenza, i pezzi lenti e atmosferici dell’album sono veramente pregievoli e di gran gusto. Così anche “Just Like A Timepiece”, con i suoi 7 minuti e mezzo, ci dona un brano dai toni malinconici e offuscati. Una ballad “comandata” dal piano e dall’atmosfera per la prima parte, che lentamente si evolve in un contesto piu chitarristico, stavolta coadiuvato dal flauto (un’altro dei loro punti a favore), per poi tornare su lidi atmosferici e concludere il brano in maniera decisamente sopra la media.
Chiude il lavoro “Lady Of Rain”, candidato anch’esso tra i migliori dell’album. Piano e voce la fanno da padrone, per andare poi a braccetto con delle chitarre opache, dai suoni velatamente “noir”, da perfetta love-song malinconica.

Tirando le somme c’è molto da salvare, e ahimè, abbastanza da scartare. Il gusto c’è, e si sente, ma personalmente ho preferito di gran lunga le soluzioni piu lente e melodiche, d’atmosfera, ai brani piu groove, dove lo spettro dei gia citati Tool è veramente troppo grosso per parlare di personalità perfettamente distaccata.
Una parziale conferma quindi, che lascia della band sia buoni ricordi, che qualche rimorso, sperando in una evoluzione verso lidi piu personali, dove sicuramente anche la splendida voce di Devon darà il tono di differenza.

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