Quante volte abbiamo ritenuto ogni singolo elemento di un gruppo fondamentale per l’identità musicale dello stesso e abbiamo temuto che i cambi di formazione ci privassero di ciò che quella line-up era riuscita fino a quel punto a regalarci? Personalmente non poche volte. Spesso i miei timori si sono rivelati fondati ma altrettanto spesso, fortunatamente, mi sono dovuto ricredere. E così dopo i Dokken questa volta è il turno dei Mr Big.

Separatisi dal bravissimo Paul Gilbert, Eric Martin e soci hanno visto giusto reclutando tra le loro fila l’altrettanto valido Ritchie Kotzen (ex Poison), tant’è vero che l’innesto, in collaborazione in verità con quasi due anni di pausa, ha talmente rivitalizzato il gruppo da poter dire, in un certo senso, di essere di fronte ad un nuovo capitolo nella storia dei Mr Big.Il genere, come già anticipato, è sempre lo stesso, la perizia tecnica pure, la produzione più che decente…..di nuovo? Niente, o quasi. Fin dall’inizio si avverte infatti un ritrovato piglio rock ed una voglia percettibilissima di lasciarsi andare e suonare non per qualche obbligo o necessità ma esclusivamente per il desiderio di farlo, per divertirsi e divertire. Esemplificative di tutto ciò sono sicuramente la blueseggiante “Mr.Never In A Million Years” (che da sola vale, secondo me, l’acquisto del disco) e l’allegra e ritmata “Dancin’ With My Devils” ma anche la studiata e ipertecnica “Hiding Place”, nella quale si poteva anche evitare di utilizzare un fastidioso effetto per la voce, l’orecchiabilissima “Superfantastic” (non a caso il primo singolo), la “sudista” “A Rose Alone” e l’accattivante “Hole In The Sun” con un chorus che non vi lascerà scampo. Ottima anche la ballad “My New Religion”, strategicamente piazzata in coda. Tra le note negative citerei senza dubbio la monotona “Try To Do Without It” e, parzialmente, “How Does It Feel”, salvata solo da un discreto chorus. Buonissima la prestazione di Eric Martin, in qualche punto (“Static”) molto simile a Jeff Keith degli scomparsi Tesla, incredibile, come sempre del resto, il lavoro di Billy Sheehan (chi non lo conoscesse ascolti il disco anche solo per il suo contributo) e addirittura entusiasmante quello di Ritchie Kotzen (ascoltate il solo di “Hiding Place” per farvene un’idea), sicuramente dalle sonorità più “stradaiole” del suo predecessore e forse per questo a me più gradevole.

Cosa posso dire in conclusione? Certamente non siamo di fronte ad un capolavoro, ad un disco imperdibile che segnerà la storia del genere e che tutti dovremmo avere, ma, allo stesso tempo, un album che sarebbe veramente un peccato trascurare. Probabilmente la loro migliore produzione dai tempi, ormai purtroppo lontani, di “Lean Into It”.

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