Uno dei dischi “incognita” dell’anno. Ma anche uno dei più attesi, dopo un’incredibile (e meritatissima) ascesa nel gotha della musica metal odierna. Stiamo parlando del quintetto di Richmond, Virginia, dei cinque rednecks che con il terzo disco, “Ashes Of The Wake” hanno creato uno dei più grandi capolavori dell’ultima decade. I Lamb Of God. Dopo il capolavoro, un’altra grande prova con “Sacrament”, del 2006, uno degli eventi più importanti di quell’anno. Ed ora, finalmente, è finita l’attesa, ecco che sugli scaffali arriva “Wrath”.
Dei Lamb Of God si è parlato tantissimo, arrivando a considerarli come la vera e propria new sensation in ambito estremo. Tour lunghissimi in giro per tutto il mondo, date da headliner ma anche a supporto di band storiche, ad esempio il nuovo tour che li vedrà di spalla ai Metallica anche in Italia il prossimo giugno. Una fama planetaria raggiunta grazie ad una proposta sincera e emozionante, di qualità come poche altre volte si è visto negli ultimi anni. Un insieme di suoni che alternano il vecchio ed il nuovo in maniera sublime, un aspetto esteriore che non guarda in faccia a nessuno, fregandosene di clichè vari e mode che spopolano. L’attitudine perfetta, che richiama, e parecchio, ciò che è stato fatto da band come i Pantera negli anni 90. Ed è proprio la musica dei Pantera, ovvero quel new thrash con quel groove sudista maledetto che ti si stampa subito nel cervello, che ha influenzato i nostri. La loro proposta infatti unisce elementi del thrash metal con le sonorità più recenti figlie di quella che è stata definita come “New Wave Of American Heavy Metal”. E se a tutto ciò aggiungiamo la perizia tecnica sopraffina dei singoli musicisti, tra i quali spicca Chris Adler, uno dei batteristi più preparati ed osannati che si possono trovare, capirete a quale bomba siamo di fronte.
Tornando al nuovo parto discografico, le speranze di poter assistere al raggiungimento della bontà di “Ashes…” erano molte, specialmente dopo che “Sacrament”, pur risultando convincente sotto moltissimi punti di vista, non toccava le vette del suo predecessore, complice anche una produzione un po’ troppo leccata dai suoni fin troppo ricercati. Ed ecco infatti che la prima cosa che balza alle orecchie durante una prima infarinatura delle nuove songs, è proprio il ritorno all’uso di suoni un pelo più “grezzi”, in linea con quello che era stato fatto in passato. Primo punto a favore della band dunque, capace di mettere in evidenza ogni strumento così da dare ad ognuno il suo spazio, senza che ci sia qualcuno troppo in risalto rispetto agli altri.
La seconda qualità che si scopre in “Wrath” è una peculiarità un po’ particolare, ma mi sento di spiegarla visto che non mi era mai capitato di percepirla. Ogni singola canzone spicca per il perfetto inizio. E’ incredibile come tutte, ma proprio tutte le tracks comincino benissimo, o con assalti di batteria, o in dissonanza, o con attacchi frontali, o con stacchi più melodici. Insomma, anche se poi non tutte raggiungeranno la perfezione assoluta, il fatto di partire subito in quarta è chiaramente un solidissimo punto di partenza.
Un’intro molto classica, chiamata “The Passing” ci introduce all’ascolto, ma quando parte l’opener “In Your Words” è subito il delirio. Inizio con chitarra e batteria a seguire e dopo alcuni secondi parte un attacco pompatissimo. Il tutto lascia spazio poi ad un allacciarsi di partiture veramente complesse, molto più di quanto la band ci aveva abituato. Ed è infatti questo, purtroppo, il più grande punto interrogativo sull’album. A parte tre o quattro pezzi più lineari e semplici, il resto delle songs si dimostra molto intricato, senza seguire una struttura compatta e lineare. Certo, dei musicisti di questo livello possono anche permetterselo, ma una delle qualità più importanti delle produzioni dei Lamb Of God era proprio quella di risultare abbastanza semplici pur infarcendo il disco di vezzi compositivi geniali e dalla grande inventiva. Certo, nel complesso la qualità resta altissima, ma la fluidità dell’ascolto bisogna dirlo, ne risente un po’.
Tornando alle tracce ecco il singolo, “Set To Fail”, la migliore del lotto. Un attacco che alterna velocità e addirittura blastbeats per poi sfociare in un groove pazzesco, coinvolgente come non mai, che dal vivo non farà sicuramente prigionieri. Grande, grande canzone. Poi, come se non bastasse, via con “Contractor”, forse il pezzo più veloce e cattivo che il combo ha mai composto, un vero e proprio assalto all’arma bianca, veloce, compatto e assassino. Buone “Fake Messiah” e “Grace”, si può dire nella media, con alcuni frangenti davvero coinvolgenti, ma più speciale “Broken Hands”, con una melodia di fondo e il suo incipit in mid-tempo che la distinguono facilmente. Stupenda “Dead Seeds”, ritorna il groove ed ecco di nuovo un pezzo vincente come pochi altri. “Everything To Nothing” è la più classicamente thrash del lotto, senza troppi fronzoli. Tra le migliori anche “Choke Sermon” molto Lamb Of God ma anche molto Pantera, i paragoni fioccano, ma ciò invece di penalizzare risulta un vantaggio. Si va a concludere con la lunga “Reclamation”, sette minuti di musica come solo i nostri sanno scrivere, inizio acustico e southern come mai fatto in precedenza, per poi continuare con tempi lenti nell’incedere ma all’interno dei quali la band mette in mostra tutta la sua abilità. Brano che va a terminare con la stessa melodia con il quale era cominciato, e va a concludere l’ascolto di un full-length di sicura altissima caratura.
Analizzando le prove dei singoli musicisti un plauso va sicuramente al batterista, come già detto merita tutti i complimenti che sta collezionando, e qui conferma di avere una precisione, un’attitudine ed un eccletismo incredibili, non ripete mai lo stesso tempo, aggiunge sempre battute particolarissime che rendono le canzoni più personali, donandole una bellezza che, anche se stiamo parlando di musica, si potrebbe dire quasi “estetica”. Un mago delle pelli, così ho detto tutto. Cristallina anche la prova dietro al microfono di Randy Blythe, mai come in questo caso il frontman dimostra una maturità eccezionale, tentando in alcuni frangenti di abbandonare il classico growl, aprendosi a soluzioni sempre estreme ma meno monocordi. Uno dei più preparati singer che si possono trovare oggigiorno in ambito estremo.
La conclusione a quest’analisi non può essere che una sola. Compratelo. Non è “Ashes Of The Wake”, forse quello è il classico episodio che nella storia di una band non si può ripetere più, ma di certo è uno dei prodotti più convincenti ed interessanti dell’anno in corso, e va a confermare l’importanza di una band che in futuro sarà sicuramente destinata a svolgere un ruolo di primo piano nella scena, ancor più di quanto lo stia già facendo adesso.