Quando una band come i MACHINE HEAD, fa uscire un nuovo lavoro contenente due cd quindi un cofanetto, che ripercorre le fatiche e i lavori migliori, tutti esclusivamente registrati in modalità live, durante il corso del loro ultimo tour mondiale, di questo gruppo storico e ancora potentissimo sulla scena thrash metal, è necessario analizzare nei minimi dettagli la scelta di Road Runner di poter procedere con questa mossa piuttosto azzardata. Mentre i fans si aspettavano di trovare sugli scaffali un nuovo album registrato in studio e che contenesse finalmente dei pezzi nuovi, si sono trovati tra le mani l’ormai divenuto chiacchieratissimo                           “Machine Fucking Head Live” uscito il 13 novembre 2012. Ma andiamo con ordine.

Partiamo dalle tracce scelte per questo summit, ovvero la prima in assoluto “I Am Hell” del primo cd, che tutti sappiamo si trova nell’ultimo capolavoro Unto Locust a mio avviso, uno dei migliori album usciti nel 2011, che si ricollega a “Be Still And Know” sempre di Locust. Come seconda traccia si va sulla carichissima “Imperium” che era contenuta a sua volta in Through The Ashes Of Empires disco del 2004. Passiamo a “Beautiful Morning” secondo brano di un album che ha diviso la critica, ovvero The Blackening del 2007,  nel quale molti lo considerano addirittura migliore di The Burning Red e Supercharger per i suoi riferimenti al thrash metal degli anni ’80.  Finalmente risentiamo,  qualcosa di prim’ordine come “The Blood, The Sweat,The Tears”, celeberrimo brano e quarta traccia di un altro capolavoro ovvero The Burning Red. Non potevano mancare “Locust”  e  “This Is The End” altri due brani contenuti sempre in Unto Locust, passando con un altro estratto celeberrimo di The Blackening vale a dire “Aesthetics Of Hate”, concludendo poi il primo cd dell’intero lotto con il quarto brano contenuto in Burn My Eys Ovvero “Old”.

La seconda parte del volume si apre con “Darkness Within” anch’essa contenuta in Unto Locust di cui esiste anche una versione totalmente in acustico da brivido. Come secondo brano spunta timidamente “Bulldozer”, ripescata dal chiacchieratissimo Supercharger album del 2001 che li vede puntare sul nu-metal a discapito  del trash metal dei dischi precedenti. Torniamo indietro di un anno e troviamo “Ten Ton Hammer” , brano contenuto nell’album che segna la rottura tra il chitarrista Logan Mader e i soci,  ovvero The More Things Change. La scaletta continua con “Who We Are”,  sempre appartenente a Unto Locust la cui particolarità è l’ intro cantato da un coretto di bambini. I Machine Head rallentano la presa inserendo la celeberrima “Halo” estratta da The Blackening concludendo definitivamente con la bellissima “Davidian” contenuta nell’esplosivo album di debutto Burn My Eyes. 

 Che dire di più? I contenuti li conosciamo, chi non li ha visti, se li può godere comodamente seduto in poltrona inserendo il dvd nel suo bel schermo lcd da 32 pollici. Il buon fan di questa band pazzesca, sa già in partenza che questo ultimo lavoro firmato Machine Head, è solo un punto della situazione a partire dal lontano 1994, quando muovevano i primi passi nel mondo thrash metal incontrando le movenze nu-metal, fino ad arrivare al successo stellare dell’ultimo lavoro in studio del 2011.

 

 

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