I Judas Priest, non scopriamo certo l’America affermandolo, fanno parte di quel ristrettissimo numero di gruppi ancora in circolazione capaci di mettere d’accordo quasi tutti gli ascoltatori delle mille sfaccettature del nostro genere musicale. Proprio per la stima e per l’affetto che molti di noi provano nei confronti del gruppo inglese in occasione della pubblicazione di “Angel Of Retribution”, senza ombra di dubbio l’evento musicale di questo inizio di anno, abbiamo deciso di fare una cosa diversa, una sorta di Track by Track redazionale, col duplice intento di permettere ad un numero maggiore di noi di esprimere in maniera leggermente più approfondita delle considerazioni sul disco e di fornirvi delle chiavi di lettura potenzialmente diverse.

Judas Rising
Quale brano migliore per aprire il disco? “Judas Is Rising” è un vero pugno allo stomaco, Heavy Fuckin’ Metal all’ennesima potenza, epico e roccioso, violento ma orecchiabile… stupenda la performance di Rob (paragonabile ad una bottiglia di buon vino invecchiato), da brividi l’uso del doppio cantato sovrapposto, sapiente l’uso dei riff di chitarra rocciosi e affilati come rasoi e instancabile la sezione ritmica, pesante come uno schiacciasassi. Uno dei migliori brani dell’album (Eugenio)

Inizio soffuso, un crescendo di tapping dalle chitarre stridenti e lui, Rob, col suo urlo famelico che ci riporta ai fasti del passato. Tutto si trasforma e le colate di metallo ci pervadono, i riff si fanno taglienti, incisivi come non mai, accompagnati da un impeccabile Scott Travis alle pelli. I connotati ci sono tutti, compresi gli scambi di assoli mozzafiato tra Glenn e K.k. I Judas sono tornati, e non ce n’è per nessuno. (Filippo)

Deal With The Devil
Mettendo il cuore da parte e valutando attentamente e distaccatamente il brano potrei anche dirvi che qui non ci sia proprio nulla di così sensazionale da segnalare. Fortunatamente però non riesco ad essere così freddo e razionale e il classico sound di metà anni 80 che la caratterizza, la strepitosa interpretazione di Halford e le chitarre taglienti e scalpitanti come non mai di Glenn e K.K. mi fanno più volte sobbalzare sulla sedia e ripetere l’ascolto. Ottima. (Vincenzo)

Come si fa a rimanere fermi con un pezzo così? Tempo sostenuto, riffone incalzante e tamarro quanto basta, Rob Halford INCONTENIBILE sia nei versi che nel grintosissimo ritornello, fill di chitarra a profusione, duello di assoli multiplo, armonizzazione… ditemelo, come si fa a rimanere fermi??? Il pezzo più Priest anni ’80 del disco, nonchè uno dei più riusciti. (Fabio)

Revolution
Scelta come singolo apripista, “Revolution” è il classico brano odiato/amato. Ne ho sentite di tutti i colori a riguardo; “è nu metal”, “faranno la fine degli Europe” …. ma stiamo scherzando??? I suoi suoni moderni e i riff settantiani dal groove unico vi si stamperanno nella testa come non mai. Non diventerà di certo un cavallo di battaglia dei nostri, ma si tratta comunque di un buon brano, inguistamente bistrattato. (Eugenio)

Lungi dall’annoverare questa track tra i capolavori dei Judas Priest non ci si può esimere dal descriverne la maestria racchiusa negli arrangiamenti e nelle scelte compositive. E’ l’emblema di quanto all’interno di un corpo sia fondamentale la presenza dell’anima, di quanto per l’ottimo scheletro creato da riff e sezione ritmica sia fondamentale la presenza dell’ugola simbolo della band. Pur non ruotando attorno ai vocalizzi di Halford, infatti, il giro di riff lenti e distaccati che si ripetono ciclicamente sembrano cercarlo, sfiorarlo, tentarlo. E lui sta al gioco prima esitando, nascondendosi dietro il rilassato coro, poi lasciandosi andare e dando il via al lungo acuto finale che da solo obbliga chi ha acclamato il suo ritorno a riammirarlo nella, mai smarrita, splendida forma. (Domenico)

Worth Fighting For
Uno dei pezzi più strani del disco, i Priest si cimentano con un brano del tutto particolare vista la struttura da “mid tempo” che caratterizza tutta la canzone, con un grande Halford e un gran bell’assolo nella parte centrale. In definitiva un brano che pur non essendo immediatissimo prende già al primo ascolto, grazie alle sue peculiarità ritmiche e al carisma che i Priest riescono a diffondere automaticamente in ogni composizione.(Jack)

Il pezzo che, arrivati a questo punto del disco, puoi pure aspettarti di trovare, ovvero un brano più cadenzato che ti permetta di riprendere per un attimo il fiato prima delle batoste imminenti. Quello che non ti aspetti è però che sia di questo livello. Un Halford ancora una volta strepitoso e un crescendo ricco di tensione per un brano certamente non immediato ma che alla distanza non potrete non apprezzare (Vincenzo)

Demonizer
Ennesima traccia, ennesimo pugno in pieno volto. “Judas Is Rising” vi era sembrata violenta? “Demonizer” vi terrorizzerà! Una breve intro di sola chitarra lascia subito spazio al brano più pesante dell’album. Tutto si fa più veloce, i riff delle chitarre vanno a sfiorare il thrash, la sezione ritmica crea un notevole tappeto sonoro (anche se, in linea di massima, è un pò statica). Un brano che insieme a “Judas Is Rising” non avrebbe sfigurato sul grandissimo “Painkiller”.(Eugenio)

Uno degli episodi più secchi, classici e potenti dell’album. L’incatenato riff d’ingresso man mano si scioglie fino a raggiungere l’aggressiva forma che iterata ed accoppiata ad un esplosione vocale che non ha bisogno di presentazioni caratterizza il brano. Chiunque stia pensando a qualcosa di prevedibile, scontato o già sentito si fermi, ascolti e mestamente s’inchini ad onorare chi la formula sopra l’ha inventata e con coerenza e dedizione dopo anni di carriera ha ancora la forza di offrirla con la freschezza trapelante da “Demonizer”.(Domenico)

Wheels Of Fire
Immaginatevi in un’arena da diecimila posti, piena fino a scoppiare, con tutto il pubblico che fa headbanging e canta all’unisono col pugno alzato; immaginatevi in mezzo alla folla inneggiante, la band sul palco in un mare di luci mentre le potenti vibrazioni della musica scuotono il vostro corpo; il frontman tiene in pugno la platea, le chitarre forgiano riff spaccacollo, la batteria è tutt’uno col vostro battito cardiaco: “Wheels of Fire” è la colonna sonora. (Fabio)

Un brano classico, nello spirito molto vicino a pezzi del calibro di “You’ve Got Another Thing Coming” o di “Living After Midnight” ma dalla presa decisamente molto meno immediata di entrambi. Scorrevole e piacevole, indubbiamente, ma non ha quel quid che gli permetta di brillare sul resto delle composizioni. Probabilmente migliorerà in sede live. (Vincenzo)

Angel
Chitarra acustica, una splendida melodia interpretata come solo Rob Halford sa fare, assolo elettrico e finale in crescendo, “Angel” non dirà forse tantissimo a chi dei Priest conosce soltanto “Painkiller”, ma di certo non potrà non fare venire più di un brivido a tutti coloro che hanno in particolare consumato il lato B di dischi come “Hell Bent For Leather” o “Stained Class” e che ben conoscono il ruolo di tali brani nella loro leggenda.(Fabio)

Di brani lenti i Judas ne hanno fatti molti nella loro carriera, “Angel” sicuramente non è pari ai migliori di essi ma è comunque una gran bella canzone. Halford si cimenta con toni sommessi in maniera davvero emozionante, trasformando come solo lui sa fare una ballad per altri normalissima in una davvero toccante. “Angel” e’ un bel lento e contribuisce a spezzare la tensione del disco. (Jack)

Hellrider
Altro brano che sembrerebbe uscire direttamente da “Painkiller” anche se questo non esclude il fatto che si tratti, purtroppo, di uno dei meno riusciti dell’album. Riff presi a piene mani dai 70-80, una batteria che più piatta non si può e delle melodie vocali che non convincono proprio (sopratutto nei cori); possibile che un batterista non riesca a fare altro che stabilizzarsi sui 4/4 quasi per tutta la durata di un brano? Scott Travis riesce a fare questo ed altro e per me tirando le somme si rivela il punto debole dell’album.(Eugenio)

A cavallo di due ballad Hellrider è il classico pezzo tritaossa, autocelebrativo (“Here they come, these Gods of Steel!”) e “tallo” all’ennesima potenza. La doppiacassa monocorde e noiosissima di Travis non è però il giusto controaltare alla solita superba prova di Rob e di quella coppia di fenomeni alle chitarre che nessun altro gruppo metal può vantare. Sono sicuro comunque che a molti piacerà più che a me. (Vincenzo)

Eulogy
Se da un lato i Judas ci ricordano chi sono i signori del metallo, non disdegnano nemmeno le sperimentazioni. Eulogy è un brano atipico, solo piano e voce, ma di una intensità notevole, pregno di atmosfera e tensione. La classe non è acqua, e anche questa ne è una prova. (Filippo)

Uno dei miei brani preferiti del disco. Nei suoi tre minuti scarsi Eulogy possiede tutto quello che un brano di questo tipo dovrebbe avere: melodia, pathos, intensità, tutte in crescendo. Inutile parlare poi dell’interpretazione di Halford, da ascoltare in religioso silenzio. (Vincenzo)

Lochness
La nebbia del lago, la leggenda che prende forma in maniera musicale. Riff pesanti come macigni, suonati con lentezza, che ricordano molto il doom tipico degli anni 80 (tipico di Candlemass, Saint Vitus, Trouble ecc), ma che risplendono sotto i fendenti di K.K e Tipton, per non parlare della prova vocale di Rob, decisamente superiore. Tredici sono i suoi minuti, ma li vale tutti dal primo all’ultimo, e conclude in maniera esemplare un album magnifico come Angel Of Retribution. (Filippo)

Il brano che non ti aspetti, pachidermico, immerso in un doom inusuale per i Judas Priest, eppure un brano affascinante come pochi altri, sicuramente uno dei piu’ belli del disco, lento e mastodontico con un Halford incredibile. “Angel of retribution” si apre con un brano classico ma dalla struttura inattesa e si chiude con questo capolavoro assolutamente inaspettato, il ritornello e’ di quelli che si stampano in mente nonostante il genere sia alquanto particolare, cosi come impossibile da dimenticare il doppio assolo centrale. Insomma una grandissima canzone dal contesto diverso dal classico priestiano ma che dimostra ancora di piu’ la grandezza di questo immenso gruppo. (Jack)

Concludendo…
Ridimensionati (ma non abbandonati del tutto) i modernismi di “Demolition”, i Judas Priest sono quindi tornati, come avete letto, con un disco prepotente ed a tratti esaltante, che s’incastra in maniera perfetta nella tradizione del gruppo inglese rimanendo tuttavia decisamente al passo coi tempi. Il ritorno di sua meastà Rob Halford – positivissimo, chi ne dubitava? – ha certamente rivitalizzato il gruppo che, come è ovvio che sia, ha dichiarato di sentirsi caricato a mille e pronto per un nuovo sfolgorante capitolo della loro già trentennale storia: “Penso che quello che abbiamo creato con questo disco e quello che creeremo da qui in avanti rappresenterà l’apice della nostra creatività” ha sentenziato Halford. Naturalmente è il loro lavoro, queste dichiarazioni sono la prassi, ma ascoltando il disco con tutto lo spirito critico possibile non si riesce a non prestare fede a queste affermazioni. Del resto, se abbiamo sperato per quindici anni che il Divino tornasse, perchè dovremmo ora smettere di sognare un altro capolavoro? Acquisto obbligato.

DVD
“Rob è la voce dei Judas Priest. Anch’io ne sono un fan e quando ascolti vecchi dischi o CD, ti aspetti di sentirlo. Quando ci siamo ritrovati a fare pezzi classici, come “Metal Gods”, è stato magnifico sentire le canzoni proprio come le ricordavo” (Scott Travis)

Basterebbe semplicemente questo pensiero per convincervi all’acquisto della versione limitata. Ad ogni modo, avete letto bene la tracklist dei pezzi live? “Breaking The Law”, “Metal Gods”, “Hell Bent For Leather”, “The Hellion/Electric Eye”, “Diamonds & Rust”…è il compendio dell’heavy metal, un’ottima base per realizzare un cd che noi chiameremmo semplicemente “That’s Heavy Metal”. E dobbiamo forse parlarvi di come sappiano inchiodarci al video, emozionarci, portarci in paradiso e contemporaneamente all’inferno? Non scherziamo dai, qui siamo di fronte alla più grande band di Heavy Metal di tutti i tempi, con buona pace delle altre centinaia di gruppi che pure ammiriamo e amiamo da una vita.

Semplicemente IMMENSI.

A proposito dell'autore

Post correlati