Promesse e coerenza ancora mantenute. Gli Infernal Poetry, a poco più di due anni di distanza da quel capolavoro che recava il nome di “Beholding The Unpure”, tornano sul mercato con un EP di quattro brani il cui obiettivo fondamentale sembra essere quello di offrire un antipasto sui contenuti del full-lenght di prossima uscita intitolato “Nervous System Failure”. Il risultato di quest’assaggio è un prodotto pervaso da un sound indubbiamente valido, personale e continuativo anche se non ancora totalmente disarmante quanto ci si aspettava.

Esprimere giudizi, sia positivi che negativi, con questo materiale volutamente stringato, sarebbe tanto stupido quanto improduttivo. L’impressione immediata è che la proposta si sia fatta ancora più criptica, esasperando quella “nuova” componente nevrotica che aveva fatto la meritata fortuna del disco predecessore. Il biglietto da visita presentato dall’opener ‘Forbidden Apples’, infatti, lascia non poco amaro in bocca per la sua capacità di rappresentare esattamente il brano che ci si sarebbe aspettati, a questo punto, dagli Infernal Poetry. Personalità, tecnica, un suono obliquo ed asimmetrico ma nient’altro che un’evoluzione quasi forzata del passato. Con il trascorrere dei minuti e lo scorrere della tracklist, però, il suono lievita in tutte le direzione aprendosi gradualmente nella soluzione e nel guizzo che non ti aspetti fino ad esplodere in quella perla che è la conclusiva ‘Pathological Acts at 37 Degrees’. Un brano intenso, curato nei suoi più minuziosi particolari, che fa rinascere, in chiusura, le speranze per un nuovo capolavoro. L’anima sofferta, strisciante ed affannosa dei nuovi Infernal Poetry si unisce con ad un’aurea malinconica quasi accostabile ad un post-core a cinque stelle che stupisce e affascina in tutto il suo moderno sapore tra il marcio ed il sinuoso. Il resto? La conferma di una perizia tecnica invidiabile che, in un contesto simile, passa in secondo piano e la consacrazione di colui che è tra i migliori live performer dell’ambito estremo italiano. Paolo Ojetti evolve la sua voce in canali inaspettati, mutuandola a seconda delle sensazioni e prendendo per mano l’intero prodotto con un’anima ed un’espressività impressionanti a livello interpretativo. Un’interpretazione da sogno, figlia di quelle che sono le capacità di questi cinque musicisti con cui, orgogliosi, si condivide la nazionalità e a cui ci si appiglia nella speranza che quanto di tanto buono offerto in questi quindici minuti si riversi nel prossimo lavoro sottoforma di un altro gioiello.

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