Presentati con entusiasmo e spazio non indifferenti dalla Massacre Records, gli In Slumber sono una buona band cresciuta pane, amore e Gothenburg sound, che poco pretende di aggiungere al panorama metal odierno. Lasciando da parte i bugiardi particolari di presentazione, infatti, l’ascoltatore si troverà al cospetto di una band onesta che, senza eccessi, riesce ad eseguire il proprio sporco lavoro con discreto successo.

Forte della fantastica produzione, figlia dell’operato congiunto di due mostri come Peter Siegfredsen e Tue Madsen, questo ‘Scars: Incomplete’ è un disco che prende, sparando intelligentemente tutte le sue cartucce nella prima parte della tracklist e mandandone buona parte a segno. Merito di ciò va, oltre che alla già citata qualità acustica, anche ad un songwriting, seppur derivativo, comunque piacevolmente fluido. La formazione austriaca, qui al secondo full-lenght, riesce a miscelare bene le proprie pachidermiche influenze in undici brani che, in gran parte degli episodi, colpiscono per l’immediatezza con cui arrivano. Gli echi più tangibili sono quelli di Dark Tranquillity, Disillusion e gran parte dell’abusatissimo death-thrash svedese. In questo disco, neanche a dirlo, non c’è la brillantezza della band di Stanne, nè tecnica e bacino di idee dei giovani colleghi tedeschi, ma una spiccata intelligenza che, in molti casi, sopperisce alle evidenti carenze. Le composizioni non si sprecano mai in velocità iperboliche e riescono a dimostrare un gusto non indifferente per una melodia che, una volta tanto, è affidata ad atmosfere magari non originalissime (ereditate dalla band teutonica di cui sopra) ma sicuramente ben riuscite. Stupisce la prova dietro il microfono di un Wolfgang Rothbauer che mostra di trovarsi maggiormente a suo agio qui che con l’ascia dei suoi sempre acerbi, e più famosi, Eisblut. Il singer sembra, infatti, aver ben studiato i maestri del genere, recitando la sua parte egregiamente attraverso growls impostati in variazioni timbriche ficcanti ed espressive. Difetti? Una platter che, sulla distanza, non regge alla perfezione ed un modus operandi, per chi non l’avesse capito, saturo e abusato. Difetti sicuramente pesanti che non devono però far crollare il giudizio su un disco superiore ai soliti cloni e non certamente da buttar via.

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