Due anni sono oramai trascorsi dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo discografico della band statunitense e le cose non sono troppo cambiate…

Quello che si presenta come l’ottavo studio-album dei Dream Theater infatti non va tanto lontano dalle sonorità che si trovano attualmente su Train of Thought: suoni corposi e potenti, melodie ben studiate, ritmiche ricercate e composizioni generalmente complesse.

Da una recente intervista rilasciata il 4 giugno dal batterista (e colonna portante) del gruppo Mike Portnoy durante un radio-show condotto dall’ormai leggendario Eddie Trunk, è trapelato che (già si sapeva) i Dream Theater essendo in continua evoluzione, vedono sempre come obbiettivo principale di ogni lavoro in studio la varietà, l’originalità e la cura con la quale sono scritti ed arrangiati i pezzi.

Questi ingredienti sono indubbiamente presenti e rendono Octavarium un disco ricchissimo sotto tutti i punti di vista ed Iron Mike (Mike Portnoy) prosegue la sua “on-going story line” (come dichiara nell’intervista) iniziata con “The Glass Prison” (da Six Degrees of Inner Turbolence), proseguita con “This Dying Soul” (da Train of Thought) e continuata con “The Root of All Evil” (prima traccia di Octavarium).

Questa saga (se così vogliamo chiamarla) comprende parti ed avvenimenti che hanno fatto parte della vita di Mike da cinque anni a questa parte, ogni canzone rappresenta uno “step” (citando le sue parole) e questa terza composizione è quindi un altro passo avanti nel proseguimento della storia.

Fantastica è la prova dietro al microfono di James LaBrie, capace di plasmare e modellare la propria voce con una facilità estrema e di raggiungere tonalità davvero altissime senza perdere il senso della melodia coinvolgendo inesorabilmente l’ascoltatore.

Interessante è il fatto che i Dream Theater siano riusciti (fortunatamente per alcuni ascoltatori particolarmente ansiosi o impazienti) a comporre anche tracce brevi (“I Walk Beside You”, “Never Enough”), in grado di non stressare gli ascoltatori meno abituati al trademark Theater-iano; non si abbattano di morale però coloro che invece (come me) adorano composizioni lunghe (anche pressappoco interminabili) e ricchissime di sfaccettature, sfumature, con svariati cambi di tempo, di atmosfera e di chi più ne ha più ne metta (a la A Pleasant Shade of Gray dei Fates Warning per intenderci)…

…sto parlando della penultima “Sacrificed Sons” e della conclusiva, intramontabile “Octavarium” (a tratti dal sapore “seventies”): rispettivamente dieci e ventiquattro minuti di alternati tripudi musicali e puro piacere fatto musica, canzoni davanti alle quali è impossibile rimanere indifferenti, non tanto per la maestosa maestria musicale o la spropositata padronanza tecnica delle quali i Theater sono dotati, ma bensì per la ricercatezza dei suoni e delle melodie, elementi chiave di questo Octavarium.

E’ importante infatti dire che l’album, rispetto al suo predecessore Train of Thought, è meno prettamente “prog”, ma (nonostante sia Progressivo con la “P” maiuscola sia chiaro) più focalizzato sulle melodie lungo le quali le composizioni si evolvono.

Ciò non annulla né sminuisce affatto (come ho già chiarito prima) lo spirito progressivo e metallico della band: basta attendere fino al primo minuto di ascolto di “The Root of All Evil” per capire quanto ai Dream Theater vada a genio l’utilizzo di suoni massicci e potenti; poderose sono anche l’incalzante “These Walls” e “Panic Attack”.

La piacevole eccezione è presente: “The Answer Lies Within” infatti è uno splendido episodio durante il quale affiora lo spirito dolce e malinconico del gruppo (gli amanti di questa faccia dei DT non rimarranno assolutamente delusi da quel che seniranno).

Che altro aggiungere, ce n’è un po’ per tutti i gusti direi, Octavarium è un’ennesima eccellente prova dell’evoluzione sonica di una delle formazioni americane che ha appassionato e continua a far appassionare miriadi di amanti della musica di tutto il mondo.

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