Allontanarsi dalle influenze più “nobili” di Depeche Mode e Nine Inch Nails per divenire una versione ancora più ruffiana e pop-oriented dei Deathstars non è il miglior modo per far apprezzare un’evoluzione o un cambiamento di rotta.
Non sembrano accorgersene gli Zeromancer che, dopo un’assenza dalle scene lunga quasi sei anni scandita dall’uscita dell’album ‘ZZYZX’, ritornano con un disco narciso e spompo che, specchiandosi nella sua voluta morbidezza, non colpisce nè per la forma né tanto meno per la sostanza espresse. Il quintetto norvegese, infatti, decide di ritornare sulle scene con un platter di dieci brani rotondi e sottili che, allontanandosi da quel rock dal forte sapore wave che aveva caratterizzato la precedente uscita, si focalizzano sulla ricerca di elementi più danzabili e ruffiani che, nel loro strizzare l’occhio all’easy, finiscono per costruire un disco “da prima volta”. Musica di plastica, non per il mood moderno con cui è proposta, non per lo spasmodico ricorso al sintetico che si rincorre durante tutta la sua durata, ma per l’effettiva pochezza di soluzioni pronte a rompersi e stancare sull’immediato. Se inizialmente, infatti, il disco può risultare al più godibile ed accattivante, col trascorrere dei minuti l’iterarsi di brani troppo simili tra loro ed un’inconsistenza davvero marcata fanno sì che quel superficiale velo di soddisfazione da parte di chi ascolta si frantumi in un attimo.

Per quanto la tecnologia possa dare una mano attraverso l’utilizzo di sintetizzatori che riempiono il sound e di una produzione laccata che li pompa, non c’è spazio per miracoli quando inventiva e bacino di idee sono risicati come in ‘Sinners International’. Un passo indietro.

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