Non sempre i grandi nomi fanno la grande musica, o almeno, questo è la prima cosa che mi è saltata in testa ascoltando questo secondo capitolo del superstar trio The Jelly Jam.

Al contrario di ciò che si potrebbe pensare leggendo i componenti della band, il genere proposto non è affatto progressive rock né progressive metal bensì uno sterile rock moderno ed “alternativo” (poi mi spiegherete cosa si intende per “alternativo” visto che mi suona così vago), senza spunti troppo interessanti e pressappoco privo di originalità.

Proprio un peccato quindi, se poi valutiamo il potenziale inutilizzato che si cela dietro allo pseudonimo The Jelly Jam viene proprio da chiedersi il perché di un seguito discografico del gruppo, visto che neppure il loro primo capitolo discografico riscosse così buone critiche…

Tanto per non sparare sulla croce rossa, possiamo dire che da elogiare è la produzione, tanto cristallina quanto perfetta nel mettere in risalto tutti gli strumenti (anche se ormai è difficile trovare una band relativamente neo-nata che si affidi ad una produzione mediocremente bassa…norwegian true blacksters esclusi ovviamente!)

Mi torna difficile continuare a scrivere qualcosa in più su questo “2”, in quanto trovo che ci sia davvero poco di cui parlare qui; preferirei evitare di dover segnalare degli highlights inesistenti, anche perché in coscienza non mi parrebbe giusto scrivere ciò che non penso, quindi anziché parlare delle peggiori tracce (visto che di migliori non ne ho appunto trovate) mi limiterei a dare un paio di consigli:

– Non provate neanche ad ascoltarlo se leggendo il nome di John Myung pensate a qualcosa di ispirazione Dream Theater-iana;

– Evitatelo prontamente se vi annoia la ripetitività;

– Dategli un’ascoltata se vi attira l’idea di qualcosa di “diverso” ed anti-virtuoso.

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