Continuità. Tale è la parola chiave da utilizzare per descrivere il nuovo capitolo firmato System Of A Down: un arco che chiude perfettamente quello già tracciato, appena sei mesi or sono, da ‘Mezmerize’ e che lascia non pochi interrogativi sull’utilità ed il giovamento che il pubblico possa ricevere da due uscite così temporalmente vicine e stilisticamente simili. Tra sospetti di commissione, di influenze mediatiche e a dispetto di ogni enigma da detrazione, però, i cinque ragazzi prodigio armeni riescono, a distanza di un semestre, a regalare la seconda conferma di saper convincere, colpire e farsi piacere anche in un contesto meno genuino e naturale rispetto a quelli degli amatissimi primi due episodi discografici.

Dopo aver ascoltato il suo predecessore l’andamento portante di ‘Hypnotize’ è alquanto predicibile con pericolose analogie che fanno capolinea dopo un’analisi ottica che conferma fortemente il ruolo di completamento ed integrazione relegato al prodotto in questione. Scorgendo la tracklist si nota che lo stesso titolo del brano che apriva ‘Mezmerize’ è qui posto come fanalino di coda, quasi enfatizzando la metafora dei due punti che chiudono il cerchio; l’artwork richiama in tutto e per tutto la precedente sembrandone una riflessione speculare arricchita di particolari.
Musica sporca, dal fare istintivo, contrastata da una precisione geometrica nel voler tributare omaggi e dispensare echi alla propria identità ed al proprio recente passato. Dando una nuova rasoiata alla scissione dalle grandissime origini sonore rette sull’isterismo e la tendenza a mantenere una certa durezza di suoni, Tankian e soci mostrano che la virata dal sapore commerciale gustata al principio di quest’anno rappresenta il nuovo, definitivo, modus operandi del quartetto d’adozione yankee. I passaggi di testimone tra break nevrotici, attimi di follia compositiva ed aggressioni sonore audaci che avevano tramutato l’espressione diffidente dei più scettici in un ghigno di piacevole sorpresa qui compaiono di rado, soffocati dalla nuova ingombrante anima.
L’ascensione di protagonismo del chitarrista Daron Malakian risulta ormai inarristabile e perfettamente integrata con il contesto globale rendendo un’ascoltabilità ed un’accessibilità impressionante ai brani ma facendoli forse perdere punti dal punto di vista dell’integrità e della solidità compositiva. L’insistenza con cui i S.O.A.D. puntano nel concentrare i propri sforzi su ciò che ormai appare come una contesa del ruolo vocale accompagnata da una cripticità decisamente minore rispetto al passato, va a squarciare definitivamente la (criticatissima) breccia che aveva consentito anche ai giovanissimi di accostarsi ai loro lavori. Pesati a dovere, i brani di ‘Hypnotize’ sono testimoni di una non trascurabile perdita di consistenza, valore nel tempo e fascino che fa da contraltare alla scorrevolezza e l’eccezionale fluidità con cui le composizioni drogano l’ascoltatore pretendendo di essere riascoltate ciclicamente. Una regolarità ed una simmetria di scelte compositive più marcate rispetto ai tempi che furono rendono, infatti, piuttosto digeribile e statica la forma-tipo dei brani del nuovo crossover della band incardinata su duelli vocali sempre più melodici, un riffing sempre più essenziale e (i soliti indescrivibili) colpi di indiscutibile leggermente meno frequenti.

Le parole non entusiastiche rivolte da chi scrive al lavoro in questione non devono trarre in inganno i lettori più impressionabili. Ogni lato negativo, o simil-tale, evidenziato delle righe precedenti non è mai rivolto all’inattaccabile qualità assoluta del lavoro decisamente e chiaramente al di sopra delle uscite del genere. Tra i dubbi ed i sospetti dell’incipit, purtroppo per i System Of A Down, però, si aggiunge anche la preoccupazione. Timore rafforzato da un necessario paragone con l’onnipresente ed incancellabile passato; timore amplificato da un’apertura incontrollata e da decisioni che farnno tremare le già precarie esibizione live. Paura di risvegliarsi dal sogno e dalle visioni indotte da ricordi “toxici”.

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