Marchiati a fuoco, per esigenze di mercato, come must e capostipiti del metalcore, gli Starkweather sono una band che, in più di dieci anni di carriera, hanno sempre avuto ben poco a che fare con il termine che identifica il genere imperante al momento. Conferma di ciò risulta quest’ultimo ‘Croatoan’, pronto a spazzare immediatamente via ogni dubbio di un’eventuale evoluzione modaiola, che poteva aver allertato i cultori della band, non appena comincia a macinare i primi giri.

Un disco incardinato sul solito, positivo, metal atipico e giocato sulla commistione di death obliquo, noisecore ed elementi moderni che si alternano con imprevedibilità stimolante ma talvolta abusata. Riff talvolta sulfurei che seguono la tradizione, talvolti intricati, jazzati ed asimmetrici che, insieme ad un dinamismo ritmico, portano il marchio D.E.P. e Dazzling Killmen, momenti di acido malessere urbano in pieno stile newyorkese e tanto altro (dal post-rock al nu-metal) frullato in un disco che, pur piacendo, risulta troppo spesso slegato. Brani, dunque, inclassificabili che riescono nell’arco della loro durata ad offrire consecutivamente genialità ed interdizione per come sono messi insieme con una quadratura ancora da registrare del tutto. La sensazione è, infatti, quella di rivivere lo stesso spettacolo che ha finora condito le apparizioni della band in questione, con risultati che lasciavano l’amaro in bocca per capacità straordinarie espresse in maniera mozza o, forse, troppo precipitosa.
In un quadro fondato su paradossi sonici e concettuali, arricchito dalla pesante presenza come guest di un “tale” Liam Wilson (D.E.P.), l’unico fattore di stabilità sembra offerto dalla costanza qualitativa della produzione di Pierre Remillard (Cryptopsy). Una produzione che riesce a tener testa egregiamente ad un disco strano, difficile da consigliare a chi non si accontenta di genialità instabile e dosata a sprazzi.

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