Curioso percorso musicale quello dei Sonata Arctica: nati da una costola degli Stratovarius, attirano l’attenzione del grande pubblico grazie a due ottimi dischi di power melodico quali “Ecliptica” e “Silence”. Dopo avere esaurito le cartucce “power”, i nostri si cimentano con un ibrido tra melodic metal e pop ottenendo (inaspettatamente per chi scrive) ancora maggior successo. Benché la Nuclear Blast, loro attuale etichetta, li proponga ancora come una power metal band, i Sonata hanno totalmente abbandonato il genere e proseguono il loro discorso a cavallo tra pop, melodic metal, con qualche vaga reminiscenza hard rock. Anzi, la componente metal è davvero presente in minima parte. Disamina doverosa per un sito denominato heavy-metal.it.
Al di là delle scelte stilistiche del gruppo, libere e indiscutibili per ogni artista che si rispetti, questo nuovo “Stones Grow Her Name” prosegue la strada tracciata dagli ultimi dischi dei Sonata: non convince appieno. Si alternano canzoni carine ad altre trascurabili. La melodia vuole essere l’assoluta protagonista del sound dei nostri. Le canzoni, benché tecnicamente interessanti, mettono in risalto una certa linearità e immediatezza, caratteristiche che di per sé non sono da giudicare negative. Il problema è che spesso si tende a cadere nella mediocrità. L’opener Only The Broken Hearts (Make You Beautiful) riprende quanto appena detto, mostrando un buon coro, molto melodico e di facile assimilazione. Uno dei brani migliori del disco. Già la seguente Shitload O’ Money non brilla per fruibilità e il coro, dal sapore rockettaro, stanca abbastanza in fretta. Buono il frangente strumentale solista.
Il piano introduce Losing My Insanity riproponendo per qualche istante gli elementi sinfonici dei tempi che furono. Il brano poi si snoda su sentieri pop in cui domina un bel ritornello. Tutto sommato un episodio positivo, con buoni solo di tastiere e chitarra. Somewhere Close To You insiste sulle tinte rock, che a mio avviso non sono troppo consone del combo finnico, risultando così uno dei brani da skip. Il singolo I Have A Right è un altro degli episodi migliori di “Stones Grow Her Name” che ha come pregio un ottimo testo e un coro davvero azzeccato (anche se è ripetuto fino allo sfinimento).
Alone In Heaven è un’altra pop song in cui si fanno apprezzare le voci dei cori: non male ma niente di eclatante. Insomma tutto il disco gioca sulle melodie pop, guidate dalla voce di Tony Kakko (molto più controllata e pacata rispetto agli esordi power), alternate a un buon tappeto musicale: non si cade mai nella cacofonia ma nemmeno si raggiungono livelli di eccellenza, con la band decisamente fuori strada quando si cimenta nei territori tipici dell’hard rock.
La ballad Don’t Be Mean e il doppio seguito di Wildfire (canzone del 2004 presente sull’album “Reckoning Night” – niente male la terza parte, bruttina la seconda) non aggiungono nulla di positivo al disco.
Puoi suonare quello che vuoi, avere un’ottima produzione e dei buoni interpreti, ma alla fine ciò che conta sono le belle canzoni, quelle che a mio avviso mancano ai Sonata Arctica odierni.