In concomitanza con l’uscita dell’ottimo “Portrait Of A Dying Heart”, il nuovo album dei Secret Sphere, abbiamo avuto modo di intervistare il chitarrista Aldo Lonobile che ci parla del nuovo album, del passato e del futuro della band!

Ciao Aldo, benvenuto su heavy-metal.it!
Grazie!

Iniziamo parlando degli avvicendamenti (più o meno recenti) in seno alla band, in particolare mi riferisco ad Antonio Agate (tastiere) e a Roberto Messina (voce).
Antonio ha lasciato la band nel 2005 ma fondamentalmente fa sempre parte della nostra famiglia, nel senso che fin dal suo abbandono ha sempre continuato a produrre musica assieme a noi: io continuo a rinchiudermi nel suo studio, a buttar giù idee con lui. E questo è stato fatto anche per “Portrait Of A Dying Heart”. Lui ha scelto una carriera musicale diversa che non gli permette di avere tempo da dedicare ai live per cui l’abbandono è avvenuto per questo motivo, ma essendo lui molto legato alla band, è rimasto comunque attivamente partecipe al processo compositivo.
Per quanto riguarda Roberto, la cosa è stata abbastanza repentina: quando abbiamo incominciato a lavorare a questo disco, io e anche gli altri ragazzi, abbiamo percepito da subito qualcosa di decisamente forte, a mio avviso il livello compositivo è molto elevato (molto più che in passato). Quando Roberto
ha inciso le sue parti vocali, dal punto di vista tecnico erano assolutamente corrette, ma il mood che lui aveva trasmesso alle canzoni non era quello che avevamo in mente…non abbiamo visto la scintilla come in passato quindi gli abbiamo chiesto di ritornare in studio per rivalutare la sua prestazione.
Dall’altra parte lui era assolutamente convinto del suo lavoro per cui abbiamo scelto di salvare l’amicizia che ci lega da tanto tempo e abbiamo deciso di separare le nostre strade musicali. In entrambe le situazioni non è stata una cosa facile da gestire ma non ci siamo persi d’animo e abbiamo trovato una soluzione decisamente valida.

È stato difficile rimpiazzare Roberto, visto che si tratta del vostro storico frontman?
Alla fine penso questo: se l’alchimia non c’è più è assurdo portare avanti una cosa che non funziona solo per farsela andar bene. Se una cosa non va bene, la prendi e la dici. È fondamentale. Quindi secondo me sarebbe stato assurdo andare avanti con Roberto: alla lunga avrebbe poi causato dei problemi, intaccando anche il lato umano. Roberto è un cantante molto bravo e personale ma, a fronte di quanto detto, è nata l’esigenza di trovare una persona che avrebbe potuto dare uno scossone, in senso positivo.

Parliamo ora di “Portrait Of A Dying Heart”. Come è stata la genesi di questo nuovo album che mi sembra il vostro disco più complesso e articolato?
L’idea che avevo in testa e che ho proposto agli altri ragazzi, è stata quella di creare un vero concept ispirandomi alle mie band preferite (potrei citarti i Queensrÿche piuttosto che i Savatage) in modo che sia le liriche che la musica avessero continui richiami tra le varie canzoni: infatti puoi notare richiami di parti musicali di altre canzoni che si ripercorrono durante l’intero disco. Abbiamo quindi studiato la melodia principale cercando poi di costruire le canzoni attorno ad essa. C’è stato un minimo di ricerca della cosa. Poi abbiamo dato anche una buona dose di spontaneità che secondo me è fondamentale, anche se c’è al contempo un grosso lavoro di coordinamento tra le varie parti musicali, molto più che in passato. Lo strumentale di apertura, che porta anche il titolo dell’album, è un pezzo che riprende le varie parti che ritrovi lungo tutto il disco. È stato un grosso lavoro fatto da Federico, il nostro batterista, che ha sviluppato queste idee lavorando poi assieme a noi per completare il tutto. Quello che ne è uscito fuori mi ha reso molto soddisfatto e felice.

Anche i nuovi innesti hanno contribuito alla realizzazione del disco?
Assolutamente. Ad esempio Michele è entrato nella band e ha svolto un grosso lavoro riprendendo in mano totalmente i testi e riscrivendoli ispirandosi al racconto del concept. Ha inoltre riscritto il 90% delle melodie vocali, per cui ha avuto largo spazio perché era giusto che portasse anche il suo lato artistico, al di là dell’esecuzione e della sua bravura.

Come mai avete deciso di inserire uno strumentale di 6 minuti a inizio album?
È stato come inserire una sorta di prologo come accade molte volte anche nei libri. Ma in questo caso, essendo il disco non molto immediato, l’utilizzo dell’ouverture viene recepito dopo: come un prologo di un libro, riprende i temi che poi verranno sviluppati lungo tutta la storia.

E cosa puoi dirmi della storia del concept?
La storia è ispirata un racconto di una giovane scrittrice italiana, Costanza Colombo, e tratta il tema dei sogni lucidi. In breve: è una sorta di diario onirico di una sognatrice lucida, ovvero una persona che è conscia di quello che avviene durante il sogno e che ha piena capacità di gestire il tutto. Nello specifico è una storia con un risvolto amoroso, in cui a volte la protagonista cerca di fuggire da una realtà che può essere difficile, per rifugiarsi in una altra dimensione.

Realizzerete un video-clip per qualche canzone dell’album?
Sì, è già pronto e penso che uscirà a breve. Il pezzo scelto è Lie To Me, una canzone molto emozionale, molto bella. Probabilmente con l’anno nuovo ne faremo ancora uno.

Facciamo un salto nel passato: parlami dell’album “Scent Of Human Desire”, all’epoca eravate sotto la prestigiosa Nuclear Blast ma il disco è passato piuttosto inosservato. Forse l’ascoltatore medio non aveva capito la vostra svolta stilistica…
Tuttora sono molto fiero di quel disco e anche all’epoca noi eravamo molto convinti dell’album. In parte la risposta l’hai data tu: noi eravamo conosciuti prettamente come una band power metal e “Scent Of Human Desire” non è assolutamente un disco power metal, e quello che ha vissuto l’ascoltatore medio l’ha vissuto anche l’etichetta. La promozione era pianificata per un altro tipo di disco…un altro “Time Never Come”, non certo “Scent Of Human Desire”… ipoteticamente “Heart & Anger” sarebbe stato il disco perfetto perché riprendeva quei canoni, pur sviluppandoli in maniera differente. “Scent Of Human Desire” ha in sé anche una forte componente rock e questo ha in parte compromesso la promozione. In ogni caso sono tuttora straconvinto di quel disco.

Secret Sphere

Dammi anche un tuo parere sugli altri vostri dischi.
“Heart & Anger” è una sorta di ritorno alle radici semplicemente perché il materiale che avevamo all’epoca era incentrato su quelle caratteristiche musicali. Abbiamo spinto forse un po’ di più sul discorso sinfonico.
“Sweet Blood Thoery” è un disco più oscuro e secondo me ha anche delle sfaccettature metal molto più spinte che in passato: ritmicamente è un disco molto forte.
Il primo album (“Mistress of Shadowlight”, ndPerf) è un ottimo disco power metal ma è un po’ ingenuo e immaturo: eravamo molto giovani e le influenze sono piuttosto evidenti.
“Archetype” secondo me è una sorta di gran disco mancato: ottimi pezzi ma il lavoro di produzione è stato fatto troppo in fretta e con poca attenzione. Avevamo necessità che il disco uscisse subito perché eravamo appena tornati dal tour coi Gamma Ray e abbiamo cercato di spingere pubblicando subito il disco tralasciando troppo l’aspetto della produzione. Secondo me ha due o tre pezzi che sono veramente ottimi, come Mr. Sin e The Scars That You Can’t See, ma purtroppo ha quel piccolo neo…

Adesso c’è questo importante tour italiano con gli Elvenking. Voi generalmente suonate all’estero e nella vostra zona. Pensi che questo tour possa essere visto come un punto di partenza per permettervi di suonare di più anche nel resto d’Italia?
Sì… noi generalmente abbiamo sempre suonato molto all’estero. Quest’anno, visto anche il rapporto di amicizia che ci lega con gli Elvenking, abbiamo scelto di promuovere insieme i dischi, dato che uscivano quasi in contemporanea, e di cercare di fare una serie di concerti in Italia preparandoli come se dovessimo affrontare un tour all’estero. La preparazione e l’organizzazione sono state viste in quell’ottica. È una scommessa…perché il pubblico italiano è sempre un po’ diffidente verso le band nostrane. Ad ogni modo noi ci crediamo e abbiamo deciso di intraprendere questo tour da co-headliners, che per ora sta andando benissimo, e speriamo anche di far capire il perché di questa unione, oltre che per ampliare il discorso live sul suolo italico.

Che feedback avete avuto dalle vostre esperienze live all’estero?
Abbiamo sempre avuto ottimi riscontri, qualcosa di assolutamente positivo. Anche nelle situazioni in cui la band non era molto conosciuta, possiamo dire di aver sempre portato a casa la partita! Dal vivo cerchiamo di trasmettere qualcosa al pubblico piuttosto che concentrarci a far la nota giusta. Ovviamente cerchiamo di portare uno spettacolo professionale sotto tutti i punti di vista, ci mancherebbe! Però per noi è molto importante far capire che ci mettiamo passione e quando tu metti passione in qualcosa, emerge anche il lato umano. E all’estero ci è sempre andata bene, in America è andata benissimo, i nostri tour europei sono sempre stati molto soddisfacenti. Ovviamente il risultato è stato influenzato anche dalla band che accompagnavi: ad esempio il tour coi Gamma Ray è stato clamoroso, mentre abbiamo ricevuto un po’ meno riscontro quando abbiamo suonato con delle band svedesi, un evento minore. In ogni caso tutto fa brodo, dall’evento grosso a quello piccolo. Adesso stiamo cercando di muoverci anche all’estero da soli. Già dal disco scorso abbiamo fatto delle date all’estero da soli, i riscontri sono buoni; ovvio non è come supportare il grosso nome, ma a poco a poco ci si lavora.

All’estero avete preso parte anche ad importanti eventi: avete mai registrato del materiale video da quelle date?
Non in maniera professionale. Si è parlato di qualcosa del genere per una possibile registrazione, visto che abbiamo diversi album all’attivo, ma ancora non c’è nulla di concreto.

Come vedi la situazione musicale odierna? È davvero così disastrosa per le band?
È una domanda da un milione di dollari! Nel senso che è tangibile che la situazione sia molto difficile…è innegabile che si faccia fatica a vendere i dischi. Devi suonare molto in giro e offrire qualcosa di particolare. Sono dell’idea che ci voglia tantissimo impegno e che bisogna adattarsi: il canale più forte ora è la rete. Quando abbiamo cominciato, nel 1998, non era così fondamentale la presenza sul web, s’incominciavano a muovere i primi passi. Era l’avvento di quelli che poi sono diventati importanti social network, come myspace o facebook. Ora questi strumenti, se utilizzati al meglio, hanno delle grandi potenzialità. D’altro canto c’è anche molta più competizione, con milioni di band. La prima cosa, a mio avviso, è offrire un prodotto estremamente professionale. Non è così per tutti, basta farsi un giro per la rete… Una band deve proporsi in maniera professionale, deve avere un’immagine curata, una buona produzione, dei buoni video…insomma tutto deve essere perfetto. Tu alla fine vendi un prodotto. Tu non compreresti mai un paio di scarpe bucate… Il lato professionale risulta fondamentale. Inoltre, come già detto, bisogna sfruttare al meglio i nuovi canali di comunicazione e di promozione.

Grazie per l’intervista! Chiudi pure come preferisci.
Ti ringrazio, ringrazio heavy-metal.it, una delle webzine che seguo e che stimo. Invito i ragazzi che leggono l’intervista a sentire il disco perché, a mio avviso, può dare qualcosa d’importante, se ascoltato con la dovuta attenzione.

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