Spesso e volentieri, nell’ambiente musicale, sia esso underground o mainstream, un insignificante particolare è sufficiente per stimolare verso un artista una curiosità che non impiega molto a tramutarsi in sopravvalutazione. Capita così che un normalissimo gruppo, come gli Oath To Vanquish, venga esaltato in più sedi a causa di una provenienza anomala per un gruppo death come il Libano, illudendo molti di trovarsi al cospetto di qualcosa di veramente significativo.

Considerando un luogo di nascita come un fattore di merito musicale trascurabile è così che, d’incanto, ‘Applied Schizophrenic Science’ viene a mostrarsi il disco già sentito, che non inventa niente e, per alcuni fattori, accomunabile a tutti gli altri. Tra questi ultimi, per fortuna dei tre ragazzi e di chiunque si troverà ad incrociare il loro esordio, sfuggono liriche ed artwork diversi ed una volta tanto lontani rispettivamente da idiozie necrofile e banconi di macelleria in primo piano. Un approccio alternativo che all’interno del disco, considerando la concretezza, le note, i riff, il feeling, si mostra ancora acerbo ed incompiuto nonostante una buona volontà di provarci. L’intenzione, rimasta per metà tale, era quella di sfornare un disco death completo, che a trecentosessanta gradi riuscisse a soddisfare tutti gli amanti del genere unendo culture diverse come quella statunitense e quella europea, senza disdegnare ritmiche grind. Il risultato è una miscela leggermente caotica ed internamente scollata che varia con troppa disinvoltura da momenti caratterizzati da melodie acide (si pensi un incrocio tra vecchi Kataklysm e primi Unleashed) ad altri decisamente più brutali, passando per rallentamenti ed altri elementi che, presi singolarmente, potranno piacere ma presi nel contesto di un intero brano potrebbero essere resi molto meglio pur non essendo pessimi. E’ così che si regala al pubblico un lavoro a prima vista godibile, anche accattivante, ma che ai successivi assaggi mostra in maniera troppo spietata una strada lunghissima davanti ai tre musicisti libanesi che, con la propria perizia tecnica, potrebbero andare più lontani da puzzle sonori fatti da pezzi male smussati ed uniti da una personalità servita a sprazzi. Tutto ciò si evince dai pochi ma intensi sussulti di cui vive il disco ed in cui si riesce a servire una violenza profonda, comunicativa in cui il gusto per le strazianti melodie arriva deciso all’ascoltatore. In questi frangenti fondamentale risulta l’apporto di un approccio vocale corale che consente di giocare con sovrapposizioni gradevoli che riescono a dare un perchè alle composizioni, salvandole quando si cade nella confusione e valorizzandole quando si propongono di donare varietà. Una varietà che non può essere goduta a pieno a causa di una produzione appena sufficiente, ovattata, con strumenti che vanno ad sovrastare troppo le voci facendo aumentare l’insofferenza per il caos talvolta creato. Le premesse non sono da buttare ma occhio a creare fenomeni, non occorre andare lontano per trovare quintali di qualità in più.

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