Che i Nile fossero degli ottimi musicisti, di buon gusto, e che proponessero qualcosa che li facesse distinguere dal calderone brutal-death era già risaputo. Ma che i Nile riuscissero a superare qualitativamente i due album precedenti (due piccoli gioiellini) è cosa difficile da credere, anche se, a conti fatti, è così. Ci troviamo di fronte ad un album molto complesso che apprezzerete sin dal primo ascolto ma che, col passare del tempo, ci regalerà nuove sensazioni che irrobustiranno senz’altro il suo aspetto globale.
Parlare di brutal questa volta è dozzinale. Il suono espresso da “In Their Darkened Shrines” è qualcosa di mastodontico, che nasce dal brutal/death, ma che sconfina in atmosfere sinistre ed oscure ed in momenti epici. Quindi niente (non che prima i Nile avessero questa visione del death metal, attenzione) puri e semplici massacri di note, ma massacri di note ragionati e complessi. L’uso del synth, degli strumenti egizi (di cui il chitarrista è un vero fanatico) donano al tutto un aria sinistra e maligna, proprio quell’aria che trasuda da ogni solco di questo disco musicalmente e liricamente dato che, si sa, il lavoro dei Nile è quello di tramandarci vicende della civiltà egizia, civiltà affascinante quanto terribile. A tutto ciò vanno ad aggiungersi le qualità tecniche della band, davvero impressionanti.
Dal momento in cui inserirete il disco nel lettore sarete sommersi da cascate di riff, assoli old school e da una batteria disumana ad opera del nuovo entrato Tony Laureano (già con Internecine ed ex Angel Corpse). Si va dalla brutalità pura di “The Blessed Dead”, “Execration Text”, “Kheftiu Asar Butchiu”, “Churning The Malestrom”, canzoni sparate alla velocità della luce, ai mid-tempo di “Sarcophagus” ed alla complessità di “Unas, Slayer of the Gods” (la migliore del disco e dei Nile in assoluto), una canzone davvero assurda per complessità e per bellezza, in cui i cambi di tempo, i riff pesantissimi e le marce marziali difficilmente usciranno dalla nostra povera testa.
Si torna alla pura violenza di “Wind of Hours” passando per l’atmosferica “Whisper In The Ear Of The Dead” in cui l’uso del synth e degli strumenti egizi la fanno da padroni creando un’atmosfera davvero maligna. Giungiamo alla fine purtroppo (certi dischi non dovrebbero averne una) con la mastodontica title-track divisa in quattro atti e della durata di circa 15 minuti; 15 minuti in cui sono racchiuse tutte le caratteristiche peculiari dei Nile, ottima per comprendere tutto ciò fatto precedentemente.

Ascolterete questo disco ininterrottamente per molto tempo, l’unico motivo per cui potrei sconsigliarvelo è il fatto che dopo qualche giorno dipenderete da esso!
Ave ai faraoni (così li ha battezzati un mio collega) del death!

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