La sorpresa metal di quest’anno arriva a Natale, ed arriva dalla Russia (posto da cui non escono molte realtà musicali, il che rende questo disco ancora più una sorpresa). I Mechanical Poet stupiscono con un album davvero riuscito, un lavoro di cui si vociferava da un po’, ma che una volta uscito non delude. La musica di questi ragazzi è davvero strana, in passato è stata addirittura definita “Harry Potter metal”, ma non fatevi ingannare, al limite la cosa che accomuna i russi al piccolo mago antipatico è la magia.
Il gruppo riesce infatti a miscelare prog, orchestrazioni, power, gothic, metal “tirato” e stacchi da colonna sonora che ricordano spesso le musiche dei film di Tim Burton, soprattutto “Nightmare before Christmas” (e non Harry Potter…). E proprio Tim Burton credo sia l’ispirazione primaria di questa band (le sue atmosfere aleggiano lungo tutto il lavoro), che struttura “Woodland Prattlers”, se ho ben capito, come la colonna sonora di un fumetto presente nel booklet del cd (booklet che purtroppo nella versione promo in mio possesso non è presente, ma a giudicare dalla copertina mi aspetto un lavoro notevole anche da questo punto di vista), con tanto di “Main titles” ed “End credits” ad aprire e chiudere il tutto. E proprio come in una colonna sonora non si può ascoltare un pezzo di “Woodland Prattlers” in particolare, bisogna sentire questo lavoro dall’inizio alla fine immergendosi nelle mutevolezze contenute tra queste note.
Si può dire senza sbagliare che il lavoro di questi ragazzi è avantgarde (diversa da quella scandinava, ma sempre avantgarde), e la cosa più notevole è che le parti prog sono calde (incredibile!) e piene di atmosfera, risultando piacevoli da ascoltare e non annoiando con inutili sfoggi di tecnica (a volte mi vengono in mente i Pain Of Salvation, ma direi che in “Woodland Prattlers” l’orchestra e le parti prog sono usate nel disco in maniera migliore che in “Be”!), inoltre le contaminazione sono tante, ma il disco suona decisamente “metal”! Che poi a ben guardare questi russi non inventano nulla di nuovo, ma combinano cose già esistenti in una miscela che, seppure già tentata da altri, raramente è riuscita così efficace (e il tocco “Burtoniano” di cui parlavo sopra dà al tutto una spruzzata di personalità non da poco).
Lo so, sto tentando di rimandare questo momento, eppure qualche brano va citato… ma come si fa? Potrei parlarvi dell’atmosfericità sospesa di “Main title” (perfetta introduzione al disco), di quella specie di ballata dal gusto antico (che fa pensare al folklore dell’est europeo, tra l’altro) che è “Sirens form the underland”, della travolgente introduzione a “Old year’s merry funeral”, di come “Natural quaternion” duri più di 11 minuti senza annoiare mai… Non vi basta? E allora vi cito anche l’assalto sonoro di “Stormchild”, la schizofrenia di “Bogie in a coal-hole”, la nenia Burtoniana “Will o’ the wisp” e la cangiante “Strayed moppet”… un leggero calo si nota in realtà negli ultimi tre pezzi, “Shades on a casement” non è brutta, ma non ammalia come i pezzi precedenti, “Swamp-stamp-polka” sa un po’ di già sentito ed “End credits”, pur non essendo male, non è il “gran finale” che ci si poteva aspettare, ma onestamente tutto questo non è un problema quando il resto del cd è di qualità tanto elevata (che poi questi ultimi pezzi sono un leggero calo ma non sono brutti, come ho scritto prima).

Insomma, buttatevi a pesce su questo disco (che tra l’altro mi sembra pure parecchio trasversale e capace di essere apprezzato da molti), inoltre ho letto che in giro c’è una versione limitata contenente anche l’ep di debutto (non l’ho sentito, ma a questo punto vado sulla fiducia) che sembra valga davvero l’acquisto… album metal dell’anno allora? Io direi proprio di sì.

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