Finalmente ho fra le mani il nuovo disco solista di Marty Friedman, disco che attendevo in modo particolare, sia perchè ormai sono passati circa sette anni dall’ultimo “True Obsessions”, sia perchè proprio quest’ultimo mi aveva stregato e reso impaziente di poterne ascoltare un seguito.
“Music For Speeding” è il logico risultato di quel percorso musicale che ha portato Marty, nel corso degli anni, a venire a contatto con i generi più diversi, metal, new age, fusion, musica elettronica.
Non spaventatevi davanti a quest’ultimo termine: “Music For Speeding” è assolutamente un disco rock, con le chitarre in primissimo piano ed uno spirito “vecchia maniera”.
L’elettronica tuttavia fa capolino qua e là, integrandosi senza problemi nelle canzoni e risultando anzi il più delle volte decisamente ben inserita e interessante.
Notare che ve lo dice uno il quale l’elettronica la può soffrire poco: a buon intenditor…
In questo disco, interamente strumentale, Marty si è circondato di musicisti di ottimo livello come Barry Sparks (Dokken, MSG, Malmsteen, Uli Jon Roth, Vinnie Moore) e Jimmy O’Shea (già con i Cacophony su “Go Off!”) al basso e Jeremy Colson (MSG, James Murphy, Steve Vai) alla batteria, più il suo amico di vecchia data Brian Becvar (che ha collaborato con Marty già dai tempi di “Scenes”, nel ’92) alle tastiere.

L’album parte decisamente forte, e subito si capisce il perchè del titolo: le prime quattro canzoni sono una più coinvolgente dell’altra, e fanno davvero venire voglia di mettersi in macchina e lanciarsi in una corsa a folle velocità (non fatelo, però!). “Gimme a Dose” nelle sue melodie ricorda certi Megadeth di metà anni 90, sensazione riacutizzata dal riff proprio sul finale. Ma non c’è tempo di fermarsi a pensare, perchè “Fuel Injection Stingray” incalza, spinge, mentre fra una accelerata e l’altra si alternano parti più lineari con begli assoli di chitarra.
Non è ancora il momento di fermarsi, perchè “Ripped” accelera ulteriormente il ritmo, pur rimanendo estremamente melodica. Ma non solo: questo pezzo risulta anche il più interessante e avvincente dal punto di vista dell’inserimento di elementi più “sperimentali”, ascoltare per credere.
Non posso inoltre che constatare con piacere come Marty non abbia perso il gusto di suonare assoli velocissimi ma sempre incredibilmente melodici ed “esotici”.
“It’s the Unreal Thing” ha un taglio più pesante ed un incedere più cadenzato, ma non mancano gli assoli ed i cambi di tema e suono.
“Cheer Girl Rampage” è, invece, davvero spiazzante. Una batteria programmata (!!) dallo stesso Marty fa da base alla canzone, che ha un tema piuttosto singolare ed, appunto, spiazzante.
La canzone in fondo si fa ascoltare bene, perchè è piuttosto catchy e le parti di chitarra nella seconda parte sono ottime, purtroppo però il pezzo rimane un vero punto interrogativo in mezzo al disco e forse anche l’unico anello debole.
Ci si sta ancora interrogando sul pezzo precedente, quando arriva il momento di “Lust for Life”, che fa immediatamente dimenticare qualsiasi perplessità e dubbio.
Questo infatti è un pezzo lento, vecchio stile, emozionante, sullo stile di “True Obsessions” ed con melodie al 100% Marty Friedman, immediatamente riconoscibili anche se forse un po’ più gioiose del solito. La successiva “Lovesorrow” è un altro pezzo “lento”, dove si tocca secondo me il picco emotivo del disco.
E’ impossibile rimanere indifferenti all’ascolto delle meravigliose melodie che Marty riesce a inventare: gli assoli vi faranno scendere un brivido giù per la schiena e verrete rapiti dalla naturalezza con la quale Friedman riesce a far parlare, piangere e cantare la chitarra, ora con malinconia, ora con gioia. Semplicemente meraviglioso.
Cambio totale di atmosfera con “Nastymachine”, che inizia sinistra ed inquietante per poi trasformarsi in un esaltante shredding scatenato e successivamente cambiare ancora tema tornando su atmosfere allo stesso tempo più aggressive ed esotiche. Molto aggressiva anche “Catfight”, dall’incedere pesante e distorto e ricca di cambi di tema che rendono interessante e vivo il pezzo.
“Corazon de Santiago” fa il paio con “Lovesorrow” e, anche se non si raggiunge l’emotività di quest’ultimo, ancora una volta ci incanta con melodie bellissime, gentili ma toccanti.
Preceduta dall’intro “0-7-2”, “Salt In The Wound” è invece l’ultimo dei pezzi tirati ed aggressivi, un brano breve che mi ha ricordato, ovviamente con le dovute differenze, certi Megadeth anni 90 e che mostra anche diversi ottimi assoli. Il brano sfocia nella conclusiva “Novocaine Kiss”, ancora una volta dominata dalle raffinate melodie di chitarra nelle quali Marty è da sempre un grande maestro.

Una conclusione di classe per un disco decisamente bello: ma… l’avreste detto che sono passati quasi cinquanta minuti da quando avete iniziato l’ascolto?
Grazie ai numerosi cambi di tema, suono ed atmosfera Friedman riesce infatti a mantenere l’attenzione viva per tutto il disco, evitando qualsiasi calo di tensione ed ottenendo un disco elaborato ma decisamente scorrevole e piacevole, cosa invero difficile per un album completamente strumentale.
Tirando le somme: se amate Marty Friedman, questo disco vi piacerà sicuramente, quindi non posso che consigliarvene l’acquisto. Se invece non lo conoscete, questo lavoro può essere un valido punto di partenza (che deve essere sicuramente seguito dall’acquisto dei capolavori “Dragon’s Kiss” e “True Obsessions”), nonchè un album che conferma Friedman come uno dei chitarristi migliori, tecnicamente e soprattutto artisticamente, presenti sulla scena.

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