Certe volte è proprio un piacere fare il recensore, perchè può capitare di seguire l’evoluzione di un gruppo dalla pubblicazione dei demo fino al debutto discografico.
Questo è infatti il caso degli astigiani Madwork dei quali avevo recensito i loro ultimi due demo, l’ultimo dei quali mi aveva piacevolmente colpito per la sua originalità e freschezza. E proprio questo demo ha permesso alla band di poter firmare un contratto discografico con una etichetta indipendente.
Per il primo lavoro ufficiale i Madwork conservano una buona metà dell’ultimo demo “Leaving All Behind”, riarrangiando e modificando qualcosa nei brani. Reputo molto positiva questa scelta in quanto i brani riutilizzati sono quelli che più mi erano rimasti impressi; alcuni li ricordavo ascoltando la prima volta “Overflow”.
La particolarità del gruppo astigiano risiede nella difficile definizione di un genere che possa identificarli. La musica proposta è in linea di principio prog ma talmente contaminata che potrebbe rientrare tranquillamente anche nell’elettronica, che viene usata in fortissime dosi, o nel rock alternativo. Volendo cercare di catalogare la loro musica potrei dire che i Madwork suonano una sorta di “elettro prog rock”, per quanto questa definizione non esista. Dico questo perchè i generi utilizzati sono i più diversi, ma perfettamente miscelati.
Si fa un ampio uso di effetti e loop che tanto cari sono al Kevin Moore versione Chroma Key, e il fantasma dei Pink Floyd aleggia per tutta la durata dell’album. Il quintetto nostrano però aggiunge anche un pizzico di Depeche Mode, il che non guasta mai, qualcosa di hard rock e di metal; ma soprattutto strutture molto variabili e non facilmente prevedibili.
Tutto l’album è un susseguirsi di ottimi brani, accattivanti melodie, intriganti progressioni e potenziali hit radiofonici.
Gli episodi che si elevano rispetto gli altri sono la malinconica “World In My Hands” (semplicemente stupenda con un ritornello che ti riempie il cuore di tristezza), la elettro rock “Leaving All Behind”, in cui è più accentuata l’influenza dei Depeche Mode.
Spettacolare è la rockeggiante “Weekend Widow” e godibile il potenziale hit radiofonico “Got A Secret”, vagamente influenzato dagli U2 più rockettari mentre il brano più “metal oriented” risulta essere il misterioso e graffiante “The Snider”.
La produzione non è proprio pulita, volutamente o meno essendo autoprodotto, ma questo rende il tutto più intrigante. I cinque ragazzi sono tutti preparatissimi con i loro strumenti e la voce di Jago è quanto mai essenziale per la riuscita dei brani: veramente ottime l’interpretazione e l’adattamento di stile per ogni situazione.
Un album, questo Overflow dei nostrani Madwork di cui andare fieri. Una perla rara nel panorama italiano.