Lo ammetto: ho sempre avuto un debole per i Labyrinth. Una formazione stellare che ha raccolto sempre molto meno di quel che ha seminato ed a cui l’etichetta power metal è sempre andata stretta. Dopo un periodo di crisi dovuta all’abbandono del chitarrista e fondatore Olaf Thorsen (in cui però sono stati partoriti album di valore come “Labyrinth” e “Freeman”), il ritorno di quest’ultimo in formazione ha portato nuova linfa vitale ad un gruppo che, per fortuna, crede ancora in quello che fa. Nei camerini dell’Alcatraz di Milano, in occasione della data di supporto ai Megadeth del 5 giugno, Andrea Cantarelli, Olaf Thorsen e Andrea De Paoli (rispettivamente i due chitarristi ed il tastierista) hanno dato vita ad un’intervista che si è ben presto trasformata in una chiacchierata sul mondo della musica a 360°, complice anche un’attitudine senza peli sulla lingua da parte del gruppo,. Ecco quindi il risultato di questo piacevole scambio di battute.

Innanzitutto come vanno le cose?
(Andrea Cantarelli) Bene, molto bene. Nel senso che, personalmente, due anni fa ero arrivato al punto di voler smettere perché non c’era più divertimento. L’intesa coi ragazzi non c’entra, sia chiaro che tutti quelli che hanno ruotato intorno ai Labyrinth e non solo sono sempre rimasti amici. Purtroppo il fatto è che situazioni come queste attuali di suonare di spalla a gruppi internazionali richiedono di svegliarsi presto, guidare, arrivare al locale, scaricare gli strumenti e non fare nessun tipo di soundcheck, quindi il fonico, quando partiamo, deve cominciare da zero. Nel momento in cui viene a mancare, soprattutto quando si è sul palco, quel divertimento, quel coinvolgimento che ci deve essere, alla fine del concerto ti chiedevi se fosse giusto, anche per rispetto di chi ti viene a sentire. Io per primo ho provato questo tipo di sensazione e quindi il dubbio se proseguire o meno si è instillato a fronte di questo tipo di ragionamenti.
A quel punto è arrivato il pensiero di smettere non con la musica, ma era come se il progetto Labyrinth avesse dato tutto quel che doveva dare e quindi l’idea era quella di ripartire da capo con un altro nome. Poi è successo che dopo un anno ci siamo visti per sbaglio con Roberto ed Olaf per berci una birra come spesso succede e abbiamo cominciato a pensare di creare qualcosa insieme, ma non era già deciso di usare il nome Labyrinth. Da lì è poi partito tutto, abbiamo ritrovato un divertimento nello scrivere e nello stare insieme ed abbiamo cominciato di nuovo, esattamente come ormai 20 anni fa. A quell’epoca si usciva col motorino e si girava per la città, poi ci siamo detti: “Tu suoni, io suono, perché non scriviamo qualcosa insieme?”.

Perché Cristiano Bertocchi e Mattia Stanciou, rispettivamente bassista e batterista della formazione del primo “Return To Heaven Denied”, non hanno partecipato a questa reunion?
(Andrea Cantarelli) In questo ambiente, non conoscendo di persona i musicisti, è normale che si traggano determinate conclusioni. Il punto è che noi avevamo bisogno di trovare una squadra di persone che avesse gli stessi stimoli e se una persona, nel caso specifico di Mattia, mi dice che preferisce dedicarsi allo studio piuttosto che alla band e posto che la sincerità all’interno di un gruppo è un valore fondamentale, abbiamo parlato molto di questo tra di noi. Lui diciamo che ha preferito prendere un’altra strada, esattamente come Cristiano che ha avuto negli anni la capacità di costruirsi come musicista ed ha il suo gruppo, che sono i Vision Divine. Inoltre ha una scuola di musica, da cui ne conseguono una serie di impegni ed avrebbe dovuto scegliere se mollare i Vision Divine per tornare a suonare con noi. Non se l’è sentita di fare questa scelta e noi, d’altro canto, siamo stati ingenui nel dare per scontato di riunire la formazione originale perché, umanamente parlando, non ci sono mai stati e non ci sono tutt’oggi problemi. Si cresce, ecco. Io adesso ho un figlio di 8 mesi ed ho dovuto pensarci molto bene, però credo che se io rispetto me stesso, anche la mia famiglia ne risenta in maniera positiva. Si tratta comunque di scelte difficili, per carità, perché si tratta anche di dire alle persone che ami che i tre giorni di ferie del ponte del 2 giugno tu non ci sarai, e non è facile. Con questo mi aggancio nel dire che io comunque ho un lavoro al di fuori dell’ambito musicale, cosa di cui non mi vergogno assolutamente.
Il succo del discorso è che, purtroppo e per fortuna, si cresce ed è un male perché non hai più l’indipendenza che hai a 20 anni, ma soprattutto un bene perché cominci ad avere qualcosa di veramente tuo, come una casa ed una famiglia.

Avete avuto l’occasione di parlare con i Megadeth?
(Andrea Cantarelli) Personalmente ho parlato con metà di loro e, per essere politicamente corretto, non ti dico con chi esattamente. Con loro ci siamo scambiati le e-mail e tutto il resto, anche se tutti e quattro in generale sono persone molto cordiali. A dire la verità questo è un ambiente un po’ strano perché sicuramente c’è la facciata da rockstar e tutto quello che ne consegue: camerini blindati, nessuno che gironzoli intorno durante il soundcheck e cose così. Da questo punto di vista è più che comprensibile perché si tratta di professionalità e nulla più. Però nelle piccole occasioni in cui ci siamo incrociati si tratta di gente estremamente cordiale.

Parliamo ora del nuovo “Return To Heaven Denied Pt. II – A Midnight Autumn’s Dream”. Che cosa mi potete dire in proposito e, soprattutto, sul titolo?
(Olaf Thorsen) Molta gente si è lamentata effettivamente che i titoli che includono “Parte 2” vengono usati dai gruppi quando sono alla frutta. Però, come sempre quando si parla di musica, uno può dire quello che vuole finché l’album non esce e questo a noi fa anche piacere perché più polemica si crea, più gente si dovrà ricredere quando uscirà il disco. A parte tutto, se non fossimo stati certi del prodotto, non l’avremmo chiamato “Return To Heaven Denied Pt. II”, questo è poco, ma sicuro. In un momento per noi così particolare, con la reunion e tutto quel che ne consegue, il fatto di intitolare così il nuovo lavoro credo lasci sottintendere anche una certa sicurezza da parte nostra. Alcune band fanno questo genere di operazione dopo periodi di calo compositivo per risollevarsi, ma pur sempre restando attive, mentre il nostro caso è differente perché avremo potuto tranquillamente chiamare il disco “Pizza”, mentre ci siamo voluti forse rendere le cose più complicate da soli…

“Ritorno alla pizza negata”, eh? Suona bene…
(Olaf Thorsen) Oppure “Fuga dalla pizza consentita”…
(Andrea Cantarelli) Faremo anche quello, perché no? (risate generali, nda)

Olaf, come farai a gestire gli impegni delle due band, Labyrinth e Vision Divine?
(Olaf Thorsen) Come ho sempre fatto. Non credo di dover affrontare sacrifici pazzeschi, anche perché il disco dei Labyrinth esce quando gli impegni dei Vision Divine sono un attimino affievoliti: l’ultimo album è fuori da più di un anno e Fabio è adesso impegnato con i Rhapsody Of Fire, quindi le cose si sono di fatto sistemate da sole.
Ci terrei però a capire una cosa: quando un tedesco ha due band e si chiama, per esempio, Sammett, tutto ciò è figo, quando un americano che si chiama Portnoy suona in 57 band, allora è figo, mentre se lo fa un italiano ci sono mille discussioni e diatribe, ecco.

Dal punto di vista delle date dal vivo, ho notato che la vostra agenzia di booking vi sta spingendo parecchio, spesso inserendovi in contesti magari non proprio consoni alla vostra proposta. Cosa ne pensate?
(Olaf Thorsen) Questo a noi fa molto piacere, in special modo se si tratta di eventi come quello di stasera, cioè sold out. Questo tipo di contesti non sono più molto comuni e si tratta di un’occasione per farsi conoscere non da poco, oltre che un modo per rimettersi in moto partendo dalla peggiore situazione possibile, cioè da un concerto che non è il tuo e la maggior parte della gente che è qui veste di pelle e borchie e grugnisce, eheh! (risate generali, nda) Eppure alla fine gli applausi ci sono stati e forse allora funziona ancora il vecchio concetto di una volta: il metal è sempre metal. Con tutte queste etichette non ci si capisce più nulla: power, progressive, symphonic, thrash, advanced, understanding metal.
(Andrea Cantarelli) Che poi se ascolti l’ultimo disco dei Megadeth, a parte un discorso di musicisti che interpretano un determinato brano, il pezzo con cui si apre e con cui loro aprono anche i concerti potrebbe essere tranquillamente nostro: batteria veloce, ritmiche serrate e assoli. Alla fine questo tipo di confine risulta essere, oltre che inutile, anche sbagliato.
(Olaf Thorsen) L’altro giorno parlando con uno dei ragazzi dei Megadeth è venuto fuori l’argomento del tour che i Poison fecero con gli Slayer. Era negli anni ’80 e c’era questo gruppetto che, per 25 minuti a serata, apriva per gli Slayer, si prendeva i suoi applausi e nessuno rompeva il cazzo così tanto come oggi.
(Andrea Cantarelli) Ma anche quando andavo a vedere gli Iron Maiden con gli Anthrax di supporto. Ditemi che cosa c’entrano queste due band insieme, per favore. Però il ragionamento era: “che bello, posso vedermi in una sola serata sia i Maiden che gli Anthrax!”. Che senso avrebbe avuto far suonare un gruppo d’apertura uguale agli headliner?

Questo forse vale anche un po’ per il Gods Of Metal di quest’anno, a cui voi parteciperete…
(Andrea Cantarelli) Qui il problema è uno solo: oggettivamente ci sono festival, in giro per l’Europa, che raccolgono gruppi di un’altra caratura, mentre il Gods Of Metal 2010 ha un bill forse leggermente diverso dagli altri. Ma se ne parlassimo tutti quanti con serenità, perché se ci fossero stati gli Slayer e gli Iron Maiden tutti avrebbero detto: “Che palle, ci sono gli Slayer e gli Iron Maiden!”. Mentre visto che non ci sono, tutti dicono: “Che palle, non ci sono gli Slayer e gli Iron Maiden!”. Mi piacerebbe prendere una ad una queste persone e chieder loro come la pensano veramente una volta per tutte, così almeno lo sappiamo e ci organizziamo di conseguenza. Poi, diciamoci la verità, una cosa che devo criticare delle persone che ascoltano metal, io per primo, è che pretendono di vedere sempre le stesse band. Negli ultimi vent’anni non c’è stato ricambio, continuiamo a vedere gli stessi gruppi. Ed allora quando questi grandi nomi smetteranno di suonare, cosa faremo? Ci guarderemo in faccia e cosa diremo? Cioè, ricordiamoci che 25 anni fa, ad aprire per i Kiss c’erano gli Iron Maiden e di strada ne hanno fatta.
(Andrea De Paoli) Al giorno d’oggi non è più possibile creare realtà del genere perché non c’è più mercato…
(Olaf Thorsen) …e non ci sono più le mezze stagioni.

Aggiungerei che si stava meglio quando si stava peggio…
(Andrea Cantarelli) …e che il nuoto è uno sport completo, così come il pianoforte è lo strumento più completo di tutti, non dimentichiamocelo! (risate generali, nda)
A parte questo, io mi ricordo che ai tempi del vinile, quando si compravano questi dischi enormi, c’era un tipo diverso di approccio verso l’album. Oggi io non riesco ad ascoltare un disco intero, dopo tre pezzi mi stanco e sono convinto che, se avessi conservato appunto l’approccio che avevo una volta, mi affezionerei in maniera diversa alle band, non ho dubbi in merito. Ti faccio un esempio: dovevamo registrare una cover di Malmsteen per il disco nuovo, “You Don’t Remember, I’ll Never Forget”, e così, per motivi di tempo, sono andato a scaricarmi il brano da internet perché il giorno dopo saremmo dovuti entrare in studio e forse era meglio che mi guardassi un attimino il brano e non ho trovato nient’altro che la discografia completa. Ora, se io sono un ragazzo e non conosco Malmsteen, mi ci voglio avvicinare e scarico tutti i suoi dischi in una volta sola, come faccio ad apprezzarlo? Ascolto i primi dieci secondi di tre pezzi, uno mi piace e gli altri due mi fanno cagare. Il giorno dopo Yngwie viene in concerto, lo vado a vedere? No. Invece, se la stessa persona avesse avuto modo di ascoltare meglio ed interiorizzare e capire l’artista, probabilmente sarebbe andata a vederlo. Quello che voglio dire è che non si riesce più a fare in modo che la gente si affezioni ad un gruppo, a permettergli di crescere. Succede, per carità, ma in rari casi e comunque di fronte ai mostri sacri, per questa gente, non ci sarà mai paragone.
(Andrea De Paoli) Probabilmente si tratta anche di un problema di avanzamento tecnologico: ormai la qualità dei prodotti musicali si è alzata tantissimo, così è difficile emergere veramente dalla massa di band che popolano la scena perché c’è un consumismo tale che non permette agli ascoltatori di metabolizzare al meglio la proposta di un gruppo. Internet oggi fornisce uno spazio di promozione di grande potenza, ma è anche vero che non c’è più l’attesa per l’uscita di un disco che c’era ai tempi del vinile.
(Olaf Thorsen) Ma senza andare troppo lontano, lo stesso discorso vale per il cd: comprare un album, aprirlo, andare a casa e leggersi il libretto coi testi è un rituale tale e quale a vent’anni fa.
(Andrea Cantarelli) Il discorso, invece, secondo me è diverso: una volta aspettavi un mese di avere le tue quindicimila lire e correvi a comprare un disco, (rivolto a Olaf) come il tuo splendido acquisto dei Krokus…
(Olaf Thorsen) Ebbene si, ci sono rimasto male, ho fatto un acquisto a cazzo. Dopo aver comprato l’album dei Kreator ho visto ‘sto gruppo, i Krokus con due K e mi sono detto: “Saranno più cattivi dei Kreator, c’hanno due K!”. All’epoca facevo il liceo classico e quindi non ci ho messo molto a capire che Krokus significava in greco “Fiocco di neve” e che la musica non era esattamente quello che credevo. E così per quel mese non comprai nient’altro perché avevo già speso le mie quindicimila lire.

E come vedete in generale la situazione attuale del mercato?
(Olaf Thorsen) Parlando da musicista ti dico che, rispetto a 15 anni fa, non escono più 5 o 10 dischi al mese, ma 150. Il secondo problema riguarda i giornalisti, gli addetti ai lavori, perché in un mare di uscite del genere si sono persi i parametri di misura dei lavori. Oggi c’è il nuovo dei Megadeth che prende 7, perché il giornalista di turno vuol fare il figo e non gli da 9, ma 7, e c’è il gruppo di thrashettari milanesi piuttosto che siciliani o fiorentini che, al primo disco, prendono 9 e mezzo. Non esiste più un parametro unico di valutazione, come, ad esempio in Giappone: Burrn! non ha mai concesso a nessun disco il famigerato 100, ci si sono avvicinati col 98 “Images And Words” dei Dream Theater e pochi altri. Prendere 80 su quel giornale vuol dire che hai fatto un capolavoro.
In Italia non funziona affatto così. Se tu apri il sito internet o il giornale del caso, trovi il Top Album che, se gli va di culo, gli hanno dato 7 e mezzo e poi trovi in ventiquattresima pagina un gruppetto sconosciuto a cui hanno dato 9. Già escono centinaia di dischi, in più hai anche perso quel riferimento che era il giornale che, quando ti diceva che erano top album, lo erano veramente.
(Andrea Cantarelli) Secondo me bisogna fare un discorso più ampio: la recensione non si applica solo alla musica, ma anche alla letteratura piuttosto che al cinema e ad ogni forma d’arte in generale. Se tu leggi una recensione di un film, essa è composta da due parti: una critica ed un voto. La prima è un parere oggettivo, mentre la valutazione tramite stelline o numeri è un criterio puramente personale. Dalle nostre parti succede che si lodi o si massacri un disco come se chi scrive la recensione sia il portatore assoluto della verità. Siccome si parla di gusti, questo discorso è un po’ stupido.

Però l’ascolto di un disco, in ogni caso, ti deve comunicare qualcosa. Un bel disco, a mio giudizio, dev’essere un lavoro che ti sa dare delle emozioni.
(Olaf Thorsen) Si, ma a quel punto allora si elimina il voto. Per fare un paragone, se tu hai una casa, questa dev’essere fatta con dei bei mattoni e della buona manodopera. Questo, in musica, si traduce con una buona produzione ed una buona tecnica.
(Andrea Cantarelli) Aggiungo una cosa: nelle recensioni che ho letto in vita mia, non ho mai visto riferimenti a chi il disco lo ha fatto. Mi spiego meglio: nel recensire un film si tiene e si deve tenere conto anche del budget con cui è stato realizzato, mentre in Italia si paragonano i film di Steven Spielberg con le produzioni di un regista esordiente e si ha ancora il coraggio di dire che le immagini del regista agli inizi sono di bassa qualità rispetto a quelle di Spielberg. Scusa, ma grazie al cazzo! Parlando di noi, ho letto delle recensioni che ci riguardavano dove veniva detto che il suono delle chitarre piuttosto che della batteria non è al livello di quello dei Metallica.
Con tutto il rispetto per chi scrive, come te, di musica, devo dire che viene data la possibilità a chiunque di dire la propria. Spesso un sito internet non si può permettere di pagare un giornalista vero e proprio e si deve accontentare. Il più delle volte casca in piedi, ma succede che il proprio disco venga giudicato dal sedicenne di turno che ha ascoltato quattro dischi in vita sua e che non tiene conto del fatto che tu, magari, su quel disco ci hai passato due anni della tua vita. Non c’è professionalità in questo, ma non è una critica nei tuoi confronti, ma nei confronti dell’ambiente.
(Olaf Thorsen) Mi è capitato due giorni fa di parlare con un giornalista della carta stampata che aveva appena recensito il nostro disco a caso perché non aveva avuto il tempo di ascoltarlo, e l’ha anche ammesso candidamente senza nemmeno scusarsi. Capito cosa intendo?

Certo, ma di contraltare ti posso dire che tener conto di tutti i fattori da voi citati e scrivere una recensione basandosi su pareri oggettivi non è affatto facile, l’emotività secondo me entra sempre in gioco e non è del tutto un male…
(Olaf Thorsen) Il punto è che della musica non se ne parla più, ma si dice solo quanti assoli, quanti acuti (o growl, a seconda del genere) ci sono e quanto vai veloce rispetto a questa o quell’altra band. Della canzone, del ritornello, non ne parla più nessuno. L’unica cosa che posso capire da una recensione del genere è quanti soldi sono stati spesi nel fare quel disco, ma non com’è poi il risultato finale.
(Andrea Cantarelli) Io farei un altro tipo di ragionamento: per quel che mi interessa, e parlo da ascoltatore, potrebbero uscire 10, 100 o 1000 dischi al giorno. Però il giornale o la webzine dovrebbero essere in grado di fare una scrematura del materiale che arriva loro, in modo tale da dare spazio ai gruppi veramente meritevoli. È vero, si potrebbe fare un discorso anche su questo tipo di criteri di scelta, ma perlomeno chi usufruisce del servizio ha le idee un po’ più chiare rispetto a quel marasma che c’è oggi.
Ai tempi, io leggevo HM (storica rivista heavy metal degli anni ’80, nda) che era la bibbia e indirizzava l’acquisto dei dischi praticamente a tutti i metallari dell’epoca. C’erano circa una ventina di recensioni, non un centinaio tra Tob Album, Il Più Bello, Il Meno Bello e così via. Lo stesso discorso vale per le etichette discografiche. Quando noi facemmo il nostro primo demo ed ottenemmo un contratto con la Underground Symphony, stappammo le bottiglie di champagne eppure si tratta, con tutto il rispetto e l’affetto che nutro nei confronti di questi ragazzi, di una label molto piccola.
(Olaf Thorsen) Al di là di quanto fosse grande o piccola, quell’etichetta funzionava ancora come dovrebbe funzionare qualunque etichetta di oggi, cioè pagava lo studio di registrazione e pubblicava il disco. Oggi ci sono migliaia di etichette che ti fanno fare il disco, ma ti devi pagare la stampa, la registrazione e la distribuzione, per poi non vendere neanche una copia ed avere soltanto l’ennesimo disco che va in giro. Questo toglie anche la gavetta alle band, perché tu arrivi a leggere la recensione del quinto disco di un gruppo e non sai nemmeno da dove abbia tirato fuori i primi quattro. Oggi nessuno fa più demo, c’è la mentalità di fare direttamente il disco. Su un totale di 200 cd, una volta la proporzione era 50 album e 150 demo, mentre oggi le cose sono esattamente ribaltate. D’altronde chi è che va a vedere le recensioni dei demo, al giorno d’oggi? Solo le band che sanno di avere il demo recensito e, forse qualche loro amico.
(Andrea Cantarelli) Altro fenomeno legato ai nostri tempi: tra poco scoppierà l’e-book. Quanto scommetti che saranno tutti scrittori? Non ci sono più filtri. Concludo questa intervista con una domanda: tutta questa innovazione tecnologica, quali vantaggi ha portato?

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