Avete presente “Nostradamus” (2008), il precedente studio album dei Judas Priest, da molti ritenuto un pacco, un mattone pesante da digerire (che io invece adoro)? Ok, predente “Nostradamus” e buttatelo via, come se non fosse mai uscito.
Evidentemente i Judas hanno accusato il colpo e con questo “Redeemer Of Souls” hanno fatto una brusca inversione di marcia, riportandosi su lidi decisamente più classici e, se vogliamo, standard. Un “rassicurante” classic metal privo di tastiere e fronzoli. Un po’ quello che successe all’epoca di “Turbo” (album “sperimentale”) e del successivo “Ram It Down” (album “classico”).
Bene o male? Io penso sempre che la buona riuscita di un qualsiasi disco non dipenda assolutamente dallo stile proposto. E questo ovviamente vale anche per i Priest. Il “problema” di questo tipo di uscite, quando hai dominato la scena degli anni ’80 con un suono simile, è che i paragoni si sprecano. È impossibile non ripensare ai vari “Defenders”, “Screaming” e compagnia bella. Con tutta probabilità, una battaglia già persa in partenza…
Dall’altra parte c’è il songwriting. Ok, non ve la sto a menare che non c’è più KK alla chitarra (sostituito dal più giovane Richie Faulkner), il problema non è quello, credetemi. In “Redeemer Of Souls” ci sono 13 pezzi di heavy metal in pieno Priest style, che vanno dal discreto al trascurabile, niente di più niente di meno. E la sensazione è che i “trascurabili” siano in netta predominanza…
L’album si apre in maniera molto positiva con la coppia Dragonauts e Redeemer Of Souls. L’opener ci riporta davvero indietro nel tempo, grazie a un sound squisitamente ottantiano e a un coro vincente, 100% a-là Priest. La titletrack è dotata di un ottimo riffing, che fa scuotere la testa, supportato da una discreta melodia vocale.
Il resto del disco, come detto, è un alternarsi di pezzi appena discreti (ahimè, non si raggiunge mai l’eccellenza) e brani troppo scialbi. Già le seguenti Halls Of Valhalla e Sword Of Damocles non decollano, complice dei ritornelli davvero stancanti e ripetitivi. Gli altri brani si assestano sulla sufficienza, con pochi lampi, tra i quali la classicheggiante Down In Flames.
Per quanto riguarda la prestazione dei nostri, niente da eccepire. Evidenzio la buona intesa della nuova coppia Tipton/Faulkner in grado di offrirci, a tratti, fraseggi e solo davvero ben congegnati. Parlando del buon Rob Halford, scoprirei l’acqua calda dicendo che non è più quello di un tempo. Il MetalGod è però in grado di regalarci ugualmente sprazzi di classe, specie nelle parti più lente e intimiste (Secrets Of The Dead o Beginning Of The End) mentre risulta un po’ forzato con lo screaming (Battle Cry). La produzione, contrariamente a quanto si è sentito nelle numerose anteprime pubblicate a spizzichi e bocconi, è davvero buona, dal gusto retrò ma ugualmente potente.
“Redeemer Of Souls” è, a mio modo di vedere, un disco appena sufficiente, con un songwriting troppo debole, in cui i buoni spunti vengono spesso affossati da brani, nel complesso, non esaltanti.
I Judas Priest, come detto in apertura, hanno scelto di puntare sul sicuro, riproponendo il loro tipico stile che li ha resi famosi negli ’80. Al di là di questo, le mie perplessità sono altre: dopo oltre 35 anni di onorata carriera, “Redeemer Of Souls” è il meglio che i nostri possono fare? Dopo 17 studio album è lecito pretendere e aspettarsi di più dai Judas Priest?